Ci attendiamo che i
radiotelescopi della
Nasa vengano spenti. E con loro la nostra assurda e invasiva ricerca di voci
provenienti dallo spazio. Come è possibile intercettare gli alieni? Non hanno
forse i nostri stessi diritti? Il diritto alla privacy, ad attendere una
eventuale sentenza di Cassazione che stabilisca se l’invasione di ultracorpi
violi o meno qualche norma dello Stato? Ovvero se l’astronave possa sorvolare
quei cieli, posteggiare in quel campo nel cuore degli Usa lasciando quegli
strampalati cerchi nel grano? Prima del giudizio definitivo, sono informazioni
illegittime. Informazioni che attengono alla sfera provata. Ed è giusto così.
Perché viviamo in un Paese dove, pur a distanza di qualche anno dalla bufera
sulle intercettazioni che hanno svelato molti dettagli della vita di Silvio
Berlusconi capo di governo, siamo di nuovo al punto di domandarci se il
“primato della politica” sulla magistratura si conquisti non con la trasparenza
assoluta da parte almeno di capi di Stato, di governo e di partito. Ma con
leggi (e indagini) che limitino l’utilizzo di informazioni di interesse
generale che riguardano non un cittadino qualunque, bensì chi detiene in un
dato momento il potere. E, in virtù di questo si espone per propria scelta a
essere giudicato per ciò che dice, per ciò che nasconde, per ciò che omette.
Matteo Renzi ha ragione quando dice che si è indagato sulla sua famiglia da
quando lui è diventato premier. Non è proprio così, a dirla tutta, c’è già
qualcosina prima. Ma ha ragione nella sostanza. Il problema è che questo
assioma ha un fondamento. Ciò che avviene attorno al premier (oggi ex premier),
così al segretario del partito italiano di maggioranza relativa ha un interesse
pubblico non paragonabile a ciò che avviene attorno al Renzi Matteo cittadino
qualunque. E se un giornale viene a conoscenza di conversazioni che, nel pieno
di una indagine che riguarda appalti pubblici miliardari, gestiti da una
società pubblica dove ai vertici siede un uomo scelto proprio dal governo
Renzi, che riguardano il rapporto di trasparenza fra padre (indagato) e figlio
(estraneo all’indagine, un giornale – anche a costo di rispondere di fronte
alla giustizia – ha il dovere, non solo il diritto, di pubblicare ciò che sa.
Nel caso specifico, poi, il campionato di intercettazione in corso in Italia ha
reso il tutto inutile. Nel senso che il Paese come al solito si è diviso in due
grandi tifoserie. Quelli che stanno con Reni sempre e comunque, dando quindi
interpretazione autentica alle parole dell’ex premier secondo la linea indicata
da lui stesso su Facebook (linea che regge, fra l’altro), assolvendo padre,
figlio e se possibile pure lo spirito santo. E quelli che, nelle pieghe della
telefonata, scorgono invece chissà quali allusioni. E ancora; quelli che dicono
“sapeva di essere intercettato” quindi recitava. E quelli che ribattono ha
alzato la voce con babbo, è un uomo di Stato”. Ne deriva la sostanziale
inutilità a posteriori di tale telefonata sull’unico piano che può interessare
i giornali, che non è quello giudiziario di cui si occupano i magistrati. Ma
quello politico-narrativo, raccontare chi ci governa, cosa pensa e come agisce
al di fuori delle dichiarazioni ufficiali. E sostituire così al fanatismo pro o
anti Renzi, informazioni, scoperte, come si fa dai tempi di Galileo (su Wikipedia
c’è una biografia per chi non lo conoscesse). Attraverso la pubblicazione di
notizie di pubblico interesse di pone, in fondo, una banale domanda: nel caso
Consip, l’ex premier era o no al corrente che qualcosa non andava? Cosa ha
fatto per impedirlo? Questa domanda è legittima, anzi doverosa, anche se nessun
reato è stato compiuto. È la domanda chiave per separare il fronte giudiziario
da quello politico. Solo rispondendo fuori dalle aule di giustizia si potrà
rialzare un muro fra i due poteri. Se, al contrario, passa l’idea che a un
politico basta rispettare la legge, dovere di tutti, allora sì che la
magistratura avrà un peso sempre più grande. Perché sulla trasparenza di chi
risponde a qualsiasi domanda, si esprime il popolo con il voto. Sulle ipotesi
di reato l’unico magistero ad avere potere (e dovere) sta in tribunale. Mentre
il dovere di raccontare sta dentro i giornali. Almeno nei Paesi normali.
Tommaso Cerno – Editoriale – L’Espresso – 21 maggio 2017
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