La Corte Costituzionale
Italiana, al pari
delle consorelle tedesca e americana (basti pensare alle recenti sentenze su
legittimità del Quantitative casing, Obamacare e matrimonio gay), sta assumendo
un ruolo sempre più rilevante nei pubblici affari. I nostri giudici supremi,
infatti, stanno continuando a influenzare profondamente la politica economica
del paese. Dopo aver determinato l’incostituzionalità del blocco delle pensioni più alte e della Robin Tax,
questa volta i togati del Palazzo della Consulta si sono esercitati su un tema
che a chi non appartiene al sacerdozio dei giureconsulti apparirebbe fuori
dalla loro portata: gli stipendi pubblici. La questione è nota: dal 2010i
salari dei dipendenti pubblici sono bloccati per legge salvo che per
progressioni di carriera. Tale provvedimento è stato reiterato fino a tutto il
2015 e contro di esso sono insorti i sindacati sostenendone
l’illegittimità costituzionale. Se la Corte
avesse dato loro ragione con effetti retroattivi, le casse dello Stato
rischiavano secondo l’Avvocatura Generale, un buco di ben 35 miliardi di euro,
una catastrofe. Cosa ha deciso il nostro Giudice delle leggi? Con uno scarno
comunicato datato 24 giugno, ci ha informato che, con decorrenza dalla
pubblicazione della sentenza,è stata dichiarata “l’illegittimità
costituzionale, sopravvenuta dal regime del blocco della contrattazione
collettiva per il lavoro pubblico”. In altre parole, bisogna rinegoziare i
contratti collettivi, con le maestranze ma l’assenza di effetti retroattivi
evita il pagamento degli arretrati. Pare che la Corte (la sentenza non è stata
ancora pubblicata) abbia tenuto in conto l’argomento avanzato dall’Avvocatura
dello Stato secondo cui l’articolo 81 della Costituzione, imponendo il pareggio
di bilancio, impedisse il pagamento dei 35 miliardi. Meno Male, Ma I Dubbi non mancano. Primo: da quando la contrattazione collettiva è materia
costituzionale? La contrattazione e ancor di più il suo esito è affare delle
parti coinvolte, non un obbligo sancito dalla suprema legge della Nazione. (..)
Secondo: nel passato il blocco fu ritenuto legittimo dalla Consulta. Leggendo
il rinvio del giudice di Roma che solleva la questione di costituzionalità. si
capisce però che in precedenza era per periodi più brevi. Ah sì? Quindi la
Corte si arroga di decidere per quanti anni le esigenze di contenimento della
spesa pubblica giustificano un provvedimento del governo?? Questo è un potere
da legislatore, non da giudice. Terzo, la retroattività. Ormai la corte fa un
uso sempre più frequente del concetto di incostituzionalità sopravvenuta (..)
che invece dovrebbe essere impiegato molto raramente ed in casi
eccezionalissimi. Ciò che è nullo nullum
producit effectum, dicevano i giureconsulti romani. (..).Il Legislatore ha
ovviamente le sue colpe: le norme sono scritte in modo disdicevole, a volte
sono retroattive, altre non coordinate con quelle in vigore. Tuttavia è
necessario pensare a un meccanismo di tecnica legislativa che restituisca
certezza del diritto (a esempio, potrebbe servire un parere preventivo sulle
leggi come quello che emana il Conseil Constitutionnel francese). Già gli
investitori si lamentano per la lunghezza e l’incertezza dei procedimenti
ordinari, figuriamoci cosa accadrebbe se nessuno potesse essere certo della
sopravvivenza stessa delle leggi emanate dal nostro Parlamento.
Alessandro De Nicola -
Provocazioni @adenicola@adamsmith.it
– L’Espresso – 9 luglio 2015
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