Ogni volta che mi trovo a discutere di problemi religiosi con
i credenti, cerco di (s) convertirli con argomentazioni che loro rifiutano di
ascoltare, perché metterebbero in dubbio le loro credenze. Alle solite argomentazioni,
ultimamente ne ho aggiunta una che deriva dalla semplice osservazione della
realtà. L’Italia, Paese (e parole) profondamente cattolico, è uno dei Paesi più
corrotti del mondo, nonché quello dove hanno radice tre fra le più importanti
organizzazioni criminali del pianeta, dove il senso civico e dello Stato è
pressoché nullo e via di questo passo. Lo stesso si può dire di tutte le
nazioni occidentali di religione cattolica nel mondo: dal Messico
all’Argentina, a Spagna, Portogallo, Romania, Filippine, tutte ad alta densità
criminale e corruttiva. Non può essere solo un caso: dove i mafiosi, come i
narcos, ostentano simboli religiosi, deviano processioni, tengono pistola e
Bibbia sul comodino, la cultura cattolica in qualche modo deve esercitare un’influenza
negativa. E non a caso i paesi protestanti sono i più civili e progrediti. Lei
ce l’ha, una spiegazione razionale?
Maurizio Iorio – maiores621@gmail.com
Non mi pare sostenibile la tesi che i paesi più corrotti e
col più alto tasso di criminalità sono i paesi cattolici. La Cina, per esempio,
non è cattolica eppure pare che esita una mafia cinese, così come pare esista
una mafia russa, e in quel Paese il cattolicesimo non c’è mai stato. Per non
parlare della mafia internazionale che governa il traffico delle armi e quello
della droga, certo a prescindere da qualsiasi legame con la cultura cattolica.
Il suo assunto che lega la corruzione e la criminalità alla cultura cattolica
non ha evidenti riscontri e perciò non sostenibile. Più interessante è invece
il confronto tra la cultura cattolica e quella protestante, non in ordine alla
corruzione e alla criminalità, ma in ordine al rispetto delle regole che sono
alla base della convivenza civile. La cultura cattolica è caratterizzata da un
doppio registro, che metaforicamente trova espressione nel fatto che dal
pulpito si insegnano le regole e in confessionale si perdonano le deroghe. Con
il perdono la colpa viene cancellata e la coscienza non si grava di alcun senso
di colpa, che è l’unica condizione attraverso cui la coscienza giunge a una sua
matura consapevolezza e acquisisce un’adeguata responsabilità in ordine alle
sue azioni. La cultura protestante non prevede un ordine sacerdotale che
perdona le colpe, e perciò la coscienza di ciascuno deve vedersela direttamente
con Dio,il cui silenzio non dà mai la garanzia che la colpa sia condonata.
(..).Da noi il perdono gode di una considerazione positiva perché si pensa che
il suo contrario sia la vendetta. Non è così. Il contrario del perdono che
condona la colpa è non condonare la colpa, in modo che il colpevole ci faccia i
conti per tutta la vita. E questo, come dice un motivo teologico medioevale:
“Factum infectum fieri non potest, neque Deus”, che significa: neppure Dio può
far sì che un fatto avvenuto non sia avvenuto.se neppur Dio può far questo,
perché lo si pretende dalle vittime ogni volta che si chiede loro se sono
disposte a perdonare, ossia a cancellare, se non il fatto delittuoso, il senso
di colpa che lo accompagna? (..). Ma Una colpa non perdonata dalla vittima,
obbliga al contrario il colpevole a elaborare la propria colpa, a prenderne
coscienza in vista di una riconciliazione con se stesso, e poi con gli altri.
Perché solo l’aver frequentato e non cancellato il senso di colpa ha reso la
sua coscienza responsabile dell’accaduto e, in questo riconoscimento,
redimibile.
umbertogalimberti@repubbica.it
– Donna di Repubblica – 27 giugno 2015 -
Nessun commento:
Posta un commento