“La sofferenza è insita nella natura umana; ma non
soffriamo mai, o almeno molto di rado, senza nutrire la speranza della
guarigione; e la speranza è un piacere.” Giacomo Casanova
Toccate e fughe
Giacomo Girolamo Casanova nasce il 2 aprile 1725 a
Venezia dagli attori Gaetano Casanova (che in realtà è solo padre putativo; il
padre carnale è indicato da lui stesso nella persona del patrizio Michele
Grimani) e Zanetta Farusso detta "La Buranella". Le lunghissime
assenze a causa del loro lavoro fanno di Giacomo un orfano fin dalla nascita.
Cresce così con la nonna materna.
Si laurea in giurisprudenza a Padova nel 1742. Tenta
la carriera ecclesiastica ma, naturalmente, la cosa non si attaglia alla sua
natura; prova allora quella militare, ma poco dopo si dimette. Conosce il
patrizio Matteo Bragadin, il quale lo mantiene come fosse il proprio figlio. La
sua vita brillante però induce a dei sospetti e così Casanova è costretto a
scappare da Venezia.
Si rifugia a Parigi. Dopo tre anni fa ritorno nella
sua città natale, ma viene accusato di aver disprezzato la Santa Religione per un'avventura
con due monache. Di conseguenza viene rinchiuso nei Piombi, ma il 31 ottobre
1756 riesce ad evadere. Questa fuga lo renderà estremamente celebre.
Malgrado i continui e frequenti viaggi rimarrà sempre
profondamente veneziano, innamorato della sua città. Amante della "dolce
vita" della città che si svolge tra teatri, bische (fortissime le somme
che perderà al Ridotto) e casini, dove organizza cene elegantissime e consuma
assieme alla bella di turno manicaretti e incontri galanti. Per il primo incontro
con la bella e potente monaca M.M., ad esempio, reperisce un casino in tutta
fretta.
Dopo la fuga si rifugia a nuovamente Parigi: qui viene
arrestato una seconda volta per bancarotta. Rilasciato dopo alcuni giorni,
continua i suoi innumerevoli viaggi che lo portano in Svizzera, Olanda, negli
stati tedeschi e a Londra. Successivamente si reca in Prussia, Russia e Spagna.
Nel 1769 ritorna in Italia, ma dovrà aspettare due anni prima di ricevere il
permesso di tornare a Venezia dopo un esilio di quasi vent'anni.
Uomo di grandissimi appetiti (non solo in senso
figurato ma anche letterale: amava infatti la buona tavola per qualità e
quantità), ambizioso e brillante era amante di agi che non sempre si poteva
permettere. Di colorito brunastro, alto un metro e novanta, dall'occhio vivace
e dal carattere appassionato e volubile, Casanova possedeva più che la
bellezza, una personalità magnetica ed affascinate e doti intellettive ed
oratorie superiori (riconosciute anche dai non pochi detrattori). "Talenti"
che saprà sfruttare al meglio nelle corti europee, dominate da una classe colta
ma anche fatua e permissiva.
Sempre al periodo veneziano sono ascrivibili testi
come "Né amori né donne", un libro contro il patrizio Carlo Grimani
per un torto subito a causa del quale verrà ricacciato dalla sua città natale.
All'età di 58 anni Casanova riprende il suo
vagabondare per l'Europa e scrive altri libri quali "Storie della mia
vita", bibliografia pubblicata in francese, "Storie della mia
fuga" del 1788 e il romanzo "Icosameron" dello stesso anno.
In un estratto di una sua lettera a G. F. Opiz del
1791 si legge: "Scrivo la mia vita per ridere di me e ci riesco. Scrivo
tredici ore al giorno, e mi passano come tredici minuti. Qual piacere ricordare
i piaceri! Ma qual pena richiamarli a mente. Mi diverto perché non invento
nulla. Ciò che affligge è l'obbligo che ho, a questo punto, di mascherare i
nomi, dal momento che non posso divulgare gli affari degli altri".
Parlando di se stesso e delle personalità simili alle
sue dirà: "Felici quelli che senza nuocere a nessuno sanno procacciarsi
il piacere, e insensati gli altri che si immaginano che l'Essere Supremo possa
rallegrarsi dei dolori e delle pene e delle astinenze ch'essi gli offrono in
sacrificio".
Giacomo Casanova muore il 4 giugno 1798 nello sperduto
castello di Dux, pronunciando le ultime, celeberrime parole "Gran Dio e
testimoni tutti della mia morte: son vissuto filosofo e
muoio cristiano". Della morte pensava che si
trattasse solo di un "mutamento della forma".
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