Terminato nel 1975, con la liberazione di Saigon, il conflitto ha
rappresentato la prima grande sconfitta militare degli Stati
Uniti. L’anniversario, che nel Vietnam è divenuto una giornata di festa nazionale,
viene oggi ricordato con esibizioni e commemorazioni online
Il 30 aprile 1975 i
carri armati dell’esercito popolare vietnamita abbattono il cancello del
palazzo presidenziale di Saigon, mettendo di fatto fine alla guerra del Vietnam.
Un conflitto che termina con la conquista della capitale del Sud da parte dei
nordvietnamiti che riunificano il Paese e, l’anno successivo, proclamano la
Repubblica Socialista del Vietnam. Due anni prima,
a seguito della firma degli accordi di pace di Parigi, gli Stati Uniti,
principale alleato del Vietnam del Sud, avevano lasciato il Paese dopo un lungo
impegno bellico (il primo grande fallimento militare nella storia di
Washington). L’obiettivo degli Usa, inserito nello scacchiere della guerra fredda, era quello di
arginare l’espansione del Vietnam del Nord, guidato dalla dittatura comunista
di Hồ Chí Minh.
I
numeri del conflitto
Secondo le stime, nella guerra
del Vietnam hanno perso la vita 58.220 soldati
statunitensi, 250mila militari sudvietnamiti e oltre tre milioni di soldati e
civili nordvietnamiti. Oltre agli scarsi risultati bellici e i costi gravosi
dell’operazione, nel ritiro statunitense ha giocato un ruolo decisivo la
pressione esercitata da un grande movimento pacifista che ha riunito diversi
ambienti della società e della cultura americana.
Uno
dei fronti della Guerra Fredda
Iniziata
a ridosso del 1960, la guerra è stata combattuta per gran parte nel Vietnam del
Sud (che allora si estendeva a meridione del 17esimo parallelo), in Cambogia e
Laos. Le tensioni nella regione erano iniziate con la guerra di Indocina che,
a seguito della colonizzazione Francese e dell’occupazione giapponese durante
la Seconda Guerra Mondiale, aveva portato al potere nel Vietnam del Nord Hồ Chí
Minh, e in quello del Sud Ngô Đình Diệm. Quest’ultimo, nel 1955, aveva deposto
l’imperatore vietnamita Bao Dai e proclamato la Repubblica del Vietnam, una
dittatura anti-comunista e cattolica, con il sostegno proprio degli Stati
Uniti. Quando scoppia il conflitto, il Paese diventa quindi uno dei fronti sui
quali si combatte la guerra fredda con Cina e Unione Sovietica che si schierano
a sostegno di Hồ Chí Minh, pur non entrando mai formalmente nel conflitto.
Kennedy
e il colpo di Stato
Le
prime scintille del la guerra appaiono in Vietnam del Sud dove, anche a causa
dei metodi oppressivi del regime, prende piede un movimento di resistenza, il
Fronte di liberazione nazionale, che punta alla riunificazione del Paese sotto
il governo del Nord. Gli Stati Uniti, nel 1963, avallano un colpo di Stato
militare nella speranza che il nuovo regime riesca a mantenere l’indipendenza
del Paese. Già dall’anno precedente, l’allora presidente statunitense, il
democratico John Fitzgerald Kennedy aveva inviato dei soldati americani per
addestrare l’esercito del Vietnam del Sud, dando il via di fatto all’impegno
bellico sul campo dell’esercito Usa, anche se non ancora con fini offensivi.
Kennedy, però, rimane capo dell'operazione ancora per poco: meno di un mese
dopo il colpo di Stato in Vietnam del Sud, il presidente statunitense viene
assassinato. Il testimone passa quindi al suo successore, Lyndon Johnson, che
tra i suoi primi provvedimenti conferma l’intenzione degli Stati Uniti di
aiutare economicamente e militarmente l’alleato vietnamita.
Casus
belli e armi chimiche
Il
casus belli arriva la mattina del 4 agosto 1964 con quello che diventa noto come
'l’incidente del
Tonchino'. Il cacciatorpediniere statunitense USS Maddox,
mentre svolge una missione di spionaggio nel Golfo del Mar Cinese, viene
attaccato in acque internazionali da tre torpediniere nordvietnamite. L’attacco
consente al presidente Johnson di ottenere dal Congresso l’autorizzazione per
un’offensiva militare contro il Vietnam del Nord. Da li a poco i soldati
statunitensi nella regione diventano quasi 400mila e inizia una lunga serie di
bombardamenti. Gli aerei statunitensi utilizzano armi chimiche, come il napalm
e l’Agent Orange, che vengono utilizzate contro obiettivi militari ma anche per
bruciare le piantagioni così da distruggere i raccolti del nemico. In questi
bombardamenti perdono la vita centinaia di migliaia di persone e altrettante
subiscono le conseguenze dall’alta tossicità delle armi impiegate.
Il
movimento pacifista
Proprio
questi terribili aspetti del
conflitto cominciano ad avere una grande rilevanza sui
media statunitensi e internazionali, alimentando il fronte dei contrari
all’azione bellica. Gli oppositori, con il passare dei mesi e degli anni, si
organizzano e danno vita a un movimento pacifista che, nel giro di un decennio,
arriva ad essere molto influente nel Paese. Ad alimentare questa voglia di pace
anche il lavoro dei giornalisti che, a seguito delle forze armate, per la prima
volta riescono a dar conto degli avvenimenti senza essere censurati.
I
trattati di pace e la 'dottrina Nixon'
Decisivo
nel destino del conflitto è la cosiddetta offensiva Têt del 1968, durante la
quale le forze armate del Vietnam del Nord riescono a colpire trenta obiettivi
nel Sud, infliggendo a Saigon e ai suoi alleati un duro colpo. Dopo questo
avvenimento Johnson annuncia di voler ridurre l’intensità dell’impegno in
Vietnam e da lì a poco iniziano a Parigi i colloqui di pace, che portano nell’ottobre
del 1968 a un cessate il fuoco. L’andamento della guerra però cambia di nuovo
con l’elezione alla Casa Bianca del repubblicano Richard Nixon che,
formalmente, porta avanti i colloqui di pace ma, sotto traccia, continua ad
ordinare operazioni belliche contro il Nord. Una strategia, messa in atto a
partire dal gennaio 1969, che passerà alla storia come 'dottrina Nixon'.
La
fine della guerra
Negli
anni successivi le incursioni delle forze armate statunitensi non ottengono i
risultati sperati e, sul fronte interno, aumentano le proteste per riportare
negli Stati Uniti i soldati impiegati in Vietnam. In questo contesto, il 17
gennaio 1973, vengono firmati gli accordi di pace. Accordi che, però, avranno
vita breve: il Vietnam del Nord, infatti, approfittando dell’instabilità
politica statunitense a seguito dell’impeachment legato al caso Watergate,
lancia un'ultima e definitiva offensiva contro il Sud, che porterà
all’unificazione del Paese sotto la bandiera della Repubblica Socialista del
Vietnam.
Più
morti per il coronavirus che per il conflitto
Intanto
il numero di morti legati al coronavirus negli Usa ha
superato quello delle vittime statunitensi nell'intera guerra in Vietnam (AGGIORNAMENTI). I decessi per
covid-19 negli Stati Uniti sono infatti 60.999 a fronte dei 58.220 soldati
americani che hanno perso la vita nel Sud-Est asiatico. Fino ad oggi, nel
Paese, coloro che hanno contratto il virus sono 1.040.488.
https://tg24.sky.it/mondo/approfondimenti/guerra-del-vietnam-fine
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