Il riformatore del melodramma
italiano
Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi, dal 1715
noto come Pietro Metastasio, traduzione greca del suo cognome, nasce a Roma il
3 gennaio del 1698. Sacerdote, poeta, librettista, drammaturgo, secondo i
canoni della musica colta è considerato il grande riformatore del cosiddetto
melodramma italiano. Primogenito della famiglia Trapassi, suo padre si chiama
Felice e quando il piccolo Pietro Antonio vede la luce è ormai un ex
sottufficiale del reggimento dei Corsi di papa Alessandro VIII, al secolo
Pietro Vito Ottoboni. La madre, Francesca Galastri, bada alle faccende
domestiche, ed è originaria di Firenze, sebbene alcune biografie e cronache
dell'epoca ne annotino la discendenza geografica in quel di Bologna. La
famiglia abita in vicolo dei Cappellari.
Secondo il registro della Chiesa parrocchiale di San
Lorenzo in Damaso, il futuro Metastasio riceve
il battesimo dal nipote del papa Ottoboni, tale cardinale Pietro Ottoboni, a
Palazzo Riario. Stando alle cronache, appena un anno dopo la nascita del
drammaturgo, arriva anche un fratellino, Leopoldo, venuto alla luce nel
novembre del 1699. Il 13 Giugno del 1702, quando Pietro ha poco più che quattro
anni, la madre Francesca muore improvvisamente all'età di soli 24 anni.
Prima di congiungersi con la sua nuova moglie, Angela
Lucarelli, e di avere da lei due figlie, il padre del Metastasio abita da vedovo
con i due figli ancora per qualche anno in via dei Cappellari, luogo nel quale
porta avanti anche una piccola attività di commercio di olio e farina.
Tuttavia, dall'anno della nascita della primogenita
della nuova famiglia del padre, il 1708, il giovane Pietro viene affidato in
consegna al noto letterato e giurista Gian Vincenzo Gravina. Stando ai
racconti, il futuro fondatore dell'accademia dell'Arcadia sarebbe rimasto
colpito dal giovane Trapassi durante una delle sue improvvisazioni in versi per
strada, nelle quali non di rado si lasciava andare, facendo scegliere un tema
alla folla e prendendo a rimare "a braccio". Il talento poetico e la
grazia del ragazzo attraggono a tal punto il Gravina da farsi affidare dal
padre il giovane Pietro, onde avviarlo agli studi giuridici e letterari.
Da questo momento in poi comincia l'ascesa del
giovanissimo Trapassi il quale subito, per volere del suo protettore, vede
"ellenizzato" il proprio cognome in Metastasio, secondo la moda
letteraria e barocca del tempo. Studia il latino e il diritto, ma soprattutto
viene portato in giro dai membri dell'Arcadia alla stregua di un bambino
prodigio, in competizione con i più celebri improvvisatori d'Italia. Le gare
però, minano la salute del ragazzo. Il Gravina se ne rende conto e decide di
affidarlo alle cure di un suo parente di Scalea, in Calabria, il filosofo
Gregorio Caloprese. L'aria di mare ristora il futuro drammaturgo e librettista,
la sua salute migliora e comincia a darsi da fare nelle attività letterarie.
All'età di soli dodici anni traduce l'Iliade di Omero in
ottave. A quattordici compone una tragedia in stile senechiano,
ispirandosi ad un soggetto di Gian Giorgio Trissino. Il lavoro si intitola
"Giustino", e il Gravina glielo pubblica nel 1713.
L'anno dopo, muore il filosofo Caloprese. Quattro anni
dopo, il 6 gennaio del 1718, tocca anche al Gravina, il quale lascia in eredità
a Pietro Metastasio una fortuna di ben 18.000 scudi. Quello stesso anno,
durante un incontro commemorativo presso l'Arcadia, il figlioccio recita un
celebre elogio del proprio mentore.
Sono anni difficili a Roma per il protetto del noto
critico defunto. Gli accademici dell'Arcadia, ma anche altri letterati, temono
il talento del giovane che, sin dalla sua prima opera, ha strabiliato per
bravura e potenzialità. Il "Giustino" infatti contiene anche un
corpus poetico di tutto rispetto, considerando soprattutto la sua giovane età.
La reazione dei "colleghi" nei suoi riguardi è fredda, quando non
proprio ostile.
Presi i voti minori di abate, senza cui sarebbe stato
difficile affermarsi a livello nazionale nelle arti e negli studi giuridici, il
Metastasio comincia a lavorare per un avvocato di Napoli, allontanandosi dalla
capitale. Nel frattempo nel 1721 compone un epitalamio, con tutta probabilità
la sua prima serenata musicale, la quale si intitola "Endimione".
L'anno dopo, al compleanno dell'imperatrice Elisabetta Cristina di
Braunschweig-Wolfenbüttel, il giovane librettista e compositore viene
incaricato di scrivere una serenata, a patto di restare anonimo. È la volta de
"Gli orti esperidi", musicato da Nicola Porpora e cantato dal
castrato Farinelli,
il quale da questo momento si lega a lui in una duratura amicizia, anche grazie
al successo ottenuto. Nel ruolo di primadonna c'è la cosiddetta
"Romanina", Marianna Bulgarelli, la quale in breve tempo scopre
l'autore della splendida opera e lo convince a dedicarsi agli studi musicali.
Pietro Metastasio intuisce la propria vocazione e comincia
a frequentare la casa della Romanina, conoscendo i più grandi compositori del
tempo, tra i quali Porpora, da cui studia musica, Johann Adolf Hasse, Giovan Battista
Pergolesi, Alessandro Scarlatti, Leonardo Vinci,
Leonardo Leo, Francesco Durante e Benedetto Marcello. Da questo momento in poi,
questi musicisti cominciano a mettere in musica le opere del poeta romano.
Vivendo presso la casa della Romanina, insieme con la
sua famiglia, Pietro Metastasio ne subisce tanto il fascino che l'influenza
poetica. Presso la dimora scrive le sue opere più celebri, come La "Didone
abbandonata", la quale vede la luce nel 1724, dandogli una improvvisa
fama. Seguono anche "Catone in
Utica", nel 1727, "Ezio", nel 1728, e molte altre.
Nel settembre del 1729 il poeta romano decide di
lasciare la casa della cantante, ormai lontana dalle scene anche a causa della
sua età. Accetta l'offerta per il posto di poeta di corte al teatro di Vienna,
succedendo ad Apostolo Zeno. L'anno dopo l'artista è a Vienna, dove deve
dividere la casa con Niccolò Martines, maestro di cerimonie del Nunzio
apostolico a Vienna.
Nel decennio che va dal 1730 al 1740 il Metastasio dà
fondo a tutta la sua arte, la quale trova espressione per il Teatro Imperiale
di Vienna. È il suo periodo aureo. Scrive "Demetrio" nel 1731 e
"Adriano in Siria" nel 1732, due opere importantissime, ma anche
"Issipile", "Demofonte", "Olimpiade", oltre ad
opere composte in tempi record, come "l'Achille in Sciro" (nel 1736)
in soli diciotto giorni, e "l'Ipermestra", in nove. Ma non solo.
Torna ai testi sacri e già nel 1730 compone "La Passione di Nostro
Signore Gesù
Cristo", un successo senza precedenti nel
XVIII secolo.
Anche per ovviare al fatto che non fosse di nascita
nobile, Pietro Metastasio comincia a frequentare intimamente la contessa
Althann. Intanto la Romanina lo rivuole dalle sue parti e, come viene scritto
in alcune cronache dell'epoca, per convincerlo si mette in viaggio per Vienna.
Durante il tragitto muore e lascia tutta la propria eredità al suo protetto il
quale però, preso dai rimorsi per aver tentato di dissuadere in ogni modo la
donna a seguirlo, rinuncia al copioso lascito.
Dal 1745 in poi Metastasio scrive poco, anche a causa
della sua salute, sempre più precaria. Da segnalare, soprattutto, la celebre
canzonetta "Ecco quel fiero istante", molto amata all'epoca. Inoltre,
le idee illuministiche si confanno poco alla sua poetica, la quale non vuole
saperne di perdere il proprio afflato classicista.
Nel 1755 muore la contessa Althann e Metastasio si
ritira sempre di più nella sua dimora, ormai invecchiato e privo di idee
artistiche. Si dedica alla futura regina di Francia, la giovanissima
arciduchessa Maria
Antonietta, impartendole insegnamenti poetici e
musicali.
Il 3 settembre del 1768 viene nominato accademico
della Crusca. Il 12 aprile del 1782, muore a Vienna, lasciando una fortuna di
130.000 fiorini ai figli dell'amico Niccolò Martines.
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