Dall’esplosione del reattore numero 4 all’incendio nella centrale, fino
alla nube radioattiva sull’Europa. Ecco tutti i dettagli su quello che è
successo nel sito in Ucraina…
Sono
le ore 1:23 della notte del 26 aprile 1986 quando la centrale nucleare di
Chernobyl è scossa da un'esplosione. Il sito si trova a 18 chilometri dalla
città di Chernobyl, a 3 chilometri da Pripyat, nell’area settentrionale di
un’Ucraina ancora parte dell’Unione Sovietica. È il più grave incidente mai
verificatosi in una centrale nucleare, anche se il conteggio delle vittime è
ancora incerto e largamente dibattuto, con cifre spesso enormemente diverse tra
loro (fotostory). La scala
internazionale degli eventi nucleari e radiologici dell’Aiea
(agenzia internazionale per l'energia atomica) lo ha classificato come evento catastrofico di livello 7:
il massimo. Attribuito solo un’altra volta, nel caso dell'incidente avvenuto
nella centrale di Fukushima, in Giappone, l’11 marzo 2011. I fatti di quella
notte e cosa accadde nei giorni seguenti sono ora lo spunto per la serie tv "Chernobyl",
targata Sky e HBO…
L'esplosione
nella centrale di Chernobyl
Nella notte tra il 25 e il 26
aprile 1986, dentro la centrale nucleare V.I. Lenin, sono in corso dei test di
sicurezza su uno dei quattro reattori che da soli producono il 10% dell’energia
elettrica dell’Ucraina. È il reattore numero 4 quello interessato dalle
operazioni, per le quali vengono disabilitati alcuni dispositivi di sicurezza.
Durante il test però qualcosa va storto, per quello che forse è un errore
umano, unito ad alcune falle tecniche e strutturali. Poco dopo l'1 di notte, il
reattore numero 4 esplode come una pentola a pressione: è una violenta spinta
di vapore a far saltare in aria il coperchio di oltre mille tonnellate che
serviva a chiudere ermeticamente il nocciolo. L’esplosione libera un’enorme
quantità di grafite e provoca un incendio che comincia a disperdere nell’aria
isotopi radioattivi. Non si tratta di un’esplosione nucleare, come quella di
una bomba atomica, bensì di una reazione dovuta all’incontenibile pressione del
vapore a causa di un imprevisto innalzamento della temperatura del nocciolo. Ma
una volta scoppiato l’incendio, è emergenza radioattività.
La
nube radioattiva
L’incendio
sprigiona una grande nuvola, densa di materiale radioattivo, che comincia a
contaminare tutta l’area attorno alla centrale. 336mila persone devono essere
evacuate. A cominciare da Pripyat, la città più vicina: 47mila abitanti, nel
giro di poche ore, devono abbandonare per sempre le loro case. Nei giorni
successivi il vento fa percorrere centinaia di chilometri alla nuvola. Prima
verso la Bielorussia e i Paesi Baltici, poi Svezia e Finlandia, e ancora
Polonia, Germania settentrionale, Danimarca, Paesi Bassi, Mare del Nord e Regno
Unito. Tra il 29 aprile e il 2 maggio è la volta di Cecoslovacchia, Ungheria,
Jugoslavia, Austria, Italia settentrionale, Svizzera, Francia sud-orientale,
Germania meridionale e ancora Italia, stavolta centrale. Tra il 4 e il 6 maggio
la nube torna verso l’Ucraina, poi Russia meridionale, Romania, Moldavia,
Balcani, Grecia e Turchia. Tutte le aree dove è piovuto sono da considerarsi a
rischio, il suolo potrebbe essere contaminato.
L’emissione di vapore radioattivo si interrompe soltanto il 10 maggio. Lo
stesso giorno, a Roma, 200mila persone scendono in piazza e si gettano le basi
per il referendum che l'anno successivo porterà all'abbandono dell'energia
nucleare in Italia.
Il
controverso conteggio dei morti
Sul
disastro di Chernobyl, a distanza di anni, si possono leggere rapporti
completamente diversi tra loro che vanno da stime di 30 vittime fino a
centinaia di migliaia di morti. Nel 2003 l’Onu ha convocato un incontro
istituzionale intitolato Chernobyl Forum, al quale hanno partecipato molti
soggetti: come l'Organizzazione mondiale della Sanità, gli Istituti superiori
di Sanità di Russia, Bielorussia e Ucraina, l'Unscera (il comitato scientifico
delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti),
la Iaea, la Fao (Food and agriculture organization). Il forum ha stabilito che
le morti accertate come conseguenza dell’incidente sono 65. Tra le vittime si
contano due lavoratori morti sul colpo, uno per trombosi coronarica, 28 tra
quei soccorritori che avevano riscontrato una sindrome da radiazione acuta,
altri 19 di loro morti negli anni tra il 1987 e il 2005 e 15 tra quella parte
di popolazione che aveva sviluppato un tumore alla tiroide. Secondo il Forum, a
queste vittime sarebbero da aggiungere solo i quattro pompieri morti per la
caduta dell'elicottero con cui tentavano di domare le fiamme. Tuttavia è lo
stesso Chernobyl Forum a dire che potrebbero essere stimate ulteriori 4.000
morti presunte per leucemie e tumori su un arco di 80 anni, ma impossibili da
ricondurre con certezza epidemiologica direttamente a quell’esplosione. Il Partito Verde Europeo ha stilato un altro rapporto in
cui dice che le morti presunte sono almeno il doppio, fino a quantificare dalle
30 alle 60mila morti in eccesso nella popolazione mondiale a seguito del
disastro. Greenpeace invece
fornisce stime tra le 100.000 e le 270.000 vittime,
toccando addirittura la cifra di 6 milioni di morti per tumore in tutto il
mondo imputabili a Chernobyl.
I
processi
Nell’agosto
1986 si è tenuto un processo a porte chiuse che, oltre a 67 licenziamenti e 27
espulsioni dal Partito Comunista, ha portato alla condanna del direttore della
centrale Viktor Bryukhanov e dell’ingegnere capo Nikolai Fomin per negligenza
criminale (10 anni di lavori forzati), del vice ingegnere capo Anatoly Dyatlov
e del capo della vigilanza Boris Rogozhkin per abuso di potere (5 anni), del
supervisore Alexander Kovalenko (3 anni) e dell’ispettore Yuri Laushkin (2
anni). Ma nel 1991 la responsabilità è ricaduta sul progettista della centrale
Viktor Bukanov e su chi aveva costruito il sito. Nelle cause civili 7 milioni
di persone hanno ricevuto un risarcimento.
Dopo
il disastro
Nell’immediato,
il governo ha dovuto continuare a mantenere attivi gli altri tre reattori, per
non interrompere la fornitura di energia elettrica sull’intero Paese. Nel 1991,
un incendio nel reattore numero 2 fa temere il peggio e, dichiarato
danneggiato, viene dismesso. Nel 1996 cessa l’attività anche del reattore
numero 1. E il 15 dicembre del 2000, è lo stesso presidente ucraino Leonid
Kučma, a far abbassare, in diretta televisiva, l'interruttore che spegne
definitivamente il reattore numero 3, ultimo residuo dell'intero impianto. Oggi
il reattore numero 4 è sepolto sotto un imponente sarcofago, una struttura in
cemento e acciaio, costruita per limitare la contaminazione radioattiva
dell’ambiente.
I
"liquidatori" impegnati per sigillare il nocciolo radioattivo
Negli
anni successivi al disastro, circa 600mila persone si occuparono della
rimozione dei detriti, della decontaminazione del sito e delle strade intorno.
Furono i cosiddetti "liquidatori", reclutati in Bielorussia, Russia e
Ucraina tra militari e civili, a cui vennero consegnati speciali certificati e
una medaglia al valore. Furono loro a occuparsi anche della costruzione del
"sarcofago" per sigillare il nocciolo radioattivo. Buona parte di
loro (si stima 240mila persone) lavorarono a stretto contatto con il luogo
dell'esplosione, esponendosi a radiazioni molto alte: alcuni liquidatori
rimossero personalmente blocchi di grafite dal tetto per gettarli a braccia nel
punto dove sarebbe stato seppellito il reattore. Il sarcofago venne costruito
in pochi mesi, per l'urgenza di coprire 180 tonnellate di combustibile,
pulviscolo radioattivo e 740mila metri cubi di macerie contaminate. Ma ogni
anno, a causa della povertà dei materiali usati, nuove falle si aprivano nella
struttura. Nel febbraio 2013, sotto il peso della neve, è crollata una parte
del tetto del locale turbine adiacente al reattore numero 4, provocando
un'immediata evacuazione degli operai. Nel 2016, scaduti i termini di
sicurezza, è stata costruita una nuova struttura più sicura che ha sostituito il
vecchio sarcofago.
Le
conseguenze su flora e fauna
Oggi
Pripyat, il centro abitato allora più vicino al luogo dell'incidente, resta una
città fantasma. La flora e la fauna della zona manifestano ancora i segni delle
radiazioni. Un intero bosco di pini, a causa delle radiazioni, assunse un
colore rossiccio e morì, prendendo il nome di Foresta Rossa. Ma le radiazioni
hanno colpito anche gli animali, causando malformazioni genetiche alle prime
generazioni, ed effetti a lungo termine che si riscontrano ancora adesso: su un
campione di oltre 40 specie di uccelli dell'area è stata notata una riduzione
delle dimensioni dell'encefalo, verosimilmente legata a una riduzione della
capacità cognitive e delle prospettive di sopravvivenza.
https://tg24.sky.it/mondo/approfondimenti/chernobyl-disastro-storia
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