E’ Internet la causa
dell’ignoranza
Umberto Eco sostiene
che la Rete è uno stimolo per i giovani. E invece la tecnologia della memoria
artificiale è l’origine dell’appiattimento sul presente: non c’è bisogno di
ricordare. E poi ha ridotto al minimo la parola scritta
Nella sua “Bustina di Minerva” sull’ultimo “Espresso” Umberto
Eco racconta un fatto al tempo stesso esilarante e preoccupante. In una
trasmissione televisiva di quiz condotta da Carlo Conti erano stati scelti
quattro giovani e gli erano state poste alcune domande apparentemente assai
facili: in che anno Hitler fu nominato cancelliere della Germania e quando
avvenne l’incontro di Benito Mussolini con Ezra Pound. La facilità delle
domande consisteva nel fatto che le date proposte dal conduttore consentivano
ai concorrenti risposte abbastanza sicure perché alcune superavano largamente
la morte sia di Hitler sia di Mussolini. Sicché i giovani prescelti, anche se
ignoravano la data esatta, avrebbero dovuto escludere quella decisamente
sbagliata. Invece non fu così. La risposta di una dei giovani invitati al gioco
collocò l’incontro di Mussolini e Pound nel 1994, cioè vent’anni dopo la morte
del Duce.
Eco Così Commenta
L’Accaduto,
registrato su “You Tube” : “Quest’appiattimento del passato in una nebulosa
indifferenziata si è verificato in molte epoche, ma ora non dovrebbe avere
giustificazioni visto le informazioni che anche l’utente più smandrappato può
ricevere su Internet. Evidentemente la memoria in alcuni (molti) giovani si è contratta
in un eterno presente dove tutte le vacche sono nere. Si tratta dunque d’una
malattia generazionale”. Del resto lo stesso Eco qualche settimana fa aveva
segnalato che, usando attendibili sondaggi, risultava che molti studenti
universitari fossero convinti che Aldo Moro era il capo delle Brigate Rosse.
Altro che malattia generazionale! Ma perché è accaduto questo? E perché
colpisce (o almeno così sembra) soprattutto i giovani?
Il motivo per il quale riaprendo su questa pagina le
preoccupazioni di Eco (che ovviamente condivido) segnala le cause che hanno
determinato la malattia. Eco l’attribuisce soprattutto alle carenze della
scuola, delle famiglie, dei vari centri educativi, che non si curano della
memoria. La memoria un tempo veniva esercitata obbligatoriamente : i giovani
dovevano imparare a memoria una serie di poesie indicate dagli insegnanti. Non
importava se capissero o no il loro contenuto, importava di tenere in esercizio
le mappe cerebrali dove la memoria ha la sua sede. In seguito quest’obbligo è
stato abolito: sembrava che una memoria meccanica non servisse a nulla e anzi
fosse disdicevole. Ed ecco le tristissime conseguenze. Osservo tuttavia che Eco
considera Internet, e, in generale la memoria artificiale affidata alla
tecnologia, una risorsa per stimolare i giovani mettendo a loro disposizione
una massa enorme di informazioni. Su questo il mio pensiero differisce molto
dal suo. Secondo me, infatti, la tecnologia della memoria artificiale è la
causa prima dell’appiattimento sul presente o almeno una delle cause
principali. La conoscenza artificiale esonera i frequentatori della Rete da
ogni responsabilità: non hanno nessun bisogno di ricordare, il clic sul
computer gli fornisce ciò di cui in quel momento hanno bisogno. C’è chi ricorda
per te e tanto basta e avanza.
Ma c’è di più: la possibilità di entrare in contatto, sempre
attraverso il clic, con qualunque abitante del mondo, di parlare con un
residente in Australia e, a tuo piacimento, con uno che vive nei Caraibi o in
Brasile o nel Sudafrica o a Pechino; sembra inserirti in una folla di contatti
e di compagnia. In realtà è l’opposto: ti confina nella solitudine. Molti
fruitori della Rete infatti hanno smesso di frequentare il prossimo e restano
ritirati in casa a “navigare” sulle onde della nuova tecnologia. L’amore anche
fisico attraverso la Rete è diventato abituale per molti. Si chiama da tempo
“amore solitario” e infatti lo è.
Infine La Rete Ha
Modificato il
pensiero, ha ridotto al minimo la parola scritta. Perfino il Papa si serve del
linguaggio “twitter” e comunica in questo modo con molti milioni di persone con
frasi che non superano i 140 caratteri. Tra il pensiero e la parola scritta c’è
un rapporto interattivo. I nostri giovani leggono i giornali e i libri
attraverso la Rete. Cioè leggono notizie e cultura ridotte a poche parole. Il
numero delle parole usate è ormai al minimo e poiché tra il pensiero e il
linguaggio c’è una interazione, ne deriva che il pensiero si è anchilosato come
il linguaggio. La malattia è estremamente preoccupante e segna un passaggio di
epoca. Caro Umberto credimi, è qualcosa di più che non una malattia
generazionale.
Eugenio Scalfari – L’Espresso – 23 gennaio 2014
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