Alfano decida cosa vuol
fare da grande
Le scissioni in Italia
hanno poco successo. Eppure il Nuovo Centro democratico una possibilità ce
l’ha: presentarsi agli elettori come una destra moderata fedele agli ideali del
Ppe. Prima però deve fare i conti con il berlusconismo.
Poche scissioni hanno avuto fortuna nella storia dei partiti
italiani. La più celebre, fortunata elettoralmente ma famigerata politicamente,
fu quella comunista, nel 1921, durante il congresso del Partito socialista italiano.
Nel dopoguerra furono ancora i socialisti al centro di devastanti conflitti
interni: i socialdemocratici di Saragat abbandonarono il Psi di Nenni nel 1947
e (poi, dopo la riunificazione, se ne andarono di nuovo nel 1969) e nel 1964 fu
la volta dei massimalisti del Psiup, contrari al centro-sinistra. Infine toccò
al Pci, quando si trasformò in Pds dopo la caduta del Muro, subire la
fuoriuscita dei nostalgici di Rifondazione comunista. Anche negli ultimi
vent’anni abbiamo assistito a spaccature a divisioni: nessuna di queste ha
resistito a lungo. Futuro e Libertà, creatura di Gianfranco Fini, aveva le
caratteristiche per potersi radicare: un leader riconosciuto e di prima
grandezza, un retroterra organizzativo, una cultura politica ben distinta dalla
casa madre. Ma gli errori tattici e strategici lo hanno perduto.
Ultimo Arrivato è il Nuovo centro destra (Ncd) di
Angelino Alfano. Per la formazione nata da una scissione del Pdl il futuro si
presenta incerto. Al Ncd mancano un leader di provata esperienza politica
(Alfano non ha il curriculum di Fini), una classe dirigente legata a lui da
antiche fedeltà e, soprattutto, una visione politico-ideologica bel definita,
riconoscibile e alternativa rispetto alla formazione di origine. In compenso il
Ncd asserisce, in un sito peraltro drammaticamente povero di contenuti, di aver
raccolto l’adesione di 2.500 amministratori locali (molti, in effetti) e ha
organizzato un meeting di fondazione con molti partecipanti, naturalmente
entusiasti. Al di là di tutto ciò, il suo asset consiste nella collocazione
strategica: è indispensabile per la sopravvivenza del governo. Per Letta, una
garanzia. Se il Ncd si stacca crolla tutto e non si ritorna indietro: le larghe
intese sono morte e sepolte (e si spera sia così anche in futuro). Di rapporti
civili con Grillo non ce n’è nemmeno l’ombra e quindi l’unica alternativa sono
nuove elezioni. Letta e Alfano sono legati come fratelli siamesi. Se vogliono
proseguire devono accettare di buon grado una netta curvatura “democrat”
dell’azione di governo.
Finora il Pd è rimasto paralizzato in un’inevitabile
anoressia politica post- bersaniana. Non sapeva cosa dire e cosa fare e si era
rifugiato dietro Letta e Napolitano per limitare i danni. Ora il partito ha una
nuova e scalpitante leadership che intende imprimere il proprio marchio al
dibattito politico e di conseguenza all’attività dell’esecutivo. L’iniziativa
di Renzi per una legge elettorale (per quanto siano molto discutibili i
progetti presentati) dimostra che vuole avere a disposizione un’arma letale con
qui condizionare la coalizione governativa. A questo punto il Ncd deve decidere
cosa fare, indipendentemente dal sostegno al governo: darsi una prospettiva di
lungo periodo con una definizione politico-culturale più precisa che accolga i
valori del Partito popolare europeo e apra una riflessione critica sul
berlusconismo; oppure chiudere la parentesi governativa e rientrare nell’orbita
berlusconiana come la frangia più presentabile di una galassia che continua a
ruotare intorno al Cavaliere, comunque sempre disposto ad accogliere le
pecorelle smarrite….
La Scelta Di Alfano e soci aveva una motivazione
“strumentale”: mantenere in vita l’esecutivo. Lecitissima, ma con questo solo
appiglio non si riscuotono molti consensi nell’elettorato: va sostenuto da un
progetto, da valori e giudizi distinti rispetto all’esperienza passata. Forse i
legami personali e politici con il mondo berlusconiano e col Cavaliere in prima
persona non sono stati recisi o chiaramente definiti. Ma questo è il momento delle
scelte. Il Ncd ha l’opportunità di presentarsi come un’alternativa moderata, di
destra, libera dall’imprinting berlusconiano. Se non la coglie, rischia
l’estinzione, In fondo persino nel partito gollista si fanno i conti in maniera
critica con la presidenza di Nicola Sarkozy. Cosa trattiene dal farlo con il
berlusconismo?
Piero Ignazi – L’espresso – 16 gennaio 2014
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