Scriveva il filosofo
Gunther Anders: “La vera domanda non è cosa possiamo fare noi con la tecnica,
ma che cosa la tecnica può fare di noi”
Lavoro come ricercatore di una multinazionale e questo lavoro
mi ha consentito di costruire una mia identità o di modificarla e
ristrutturarla in modo da non configgere esageratamente con la mia libertà.
Purtroppo oggi, per motivi legati alla crisi e un cambio di
rotta deciso dalla proprietà (il sacrificio della ricerca alle sole ed
esclusive ragioni del mercato), mi è stato chiesto di uscire dall’azienda o
accettare un demansionamento, rinunciando di fatto alla mia identità. Quindi di
identificarmi e abbracciare un codice di condotta etico aziendale differente da
quello sul quale la mia identità avevo costruito.
Le chiedo in che rapporto stanno identità e identificazione.
Sogno una difesa del mio possibile “allontanamento
volontario” dall’azienda di tipo filosofico e non legale, in ordine allo
“stragismo identitario” perpetrato dalle multinazionali che hanno sostituito
l’etica con un “codice di condotta etico” e le identità personali con
l’identificazione.
Lettera firmata.
Siamo nell’età della
tecnica anche se la maggior parte delle persone non ne è del tutto consapevole
e pensa di vivere ancora in un mondo umanistico, dove l’uomo è il soggetto e il
responsabile delle proprie decisioni e delle proprie azioni. Anche se da un
secolo Spengler, Heidegger, la Scuola di Francoforte con Marcuse,
Horkheimer,Adorno, e da ultimo Gunter Anders ci hanno avvertito che l’età
umanistica è definitivamente conclusa.
La tecnica non è
l’insieme degli strumenti, come solitamente si crede. Questa semmai è la
tecnologia. La tecnica è la forma più alta di razionalità raggiunta dall’uomo,
più alta ancora della razionalità dell’economia, che soffre ancora di una
passione per il denaro, da cui la tecnica è esonerata.
La razionalità della
tecnica è stata definita “strumentale” perché consiste nel raggiungere il
massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi. A questa razionalità sono
sottomessi, per usare un’espressione hegeliana, sia il “signore” sia il
“servo”, che non sono più due volontà contrapposte, perché hanno entrambe come
controparte la razionalità del mercato. Questa è la ragione per cui non si dà
più lotta di classe e tantomeno rivoluzioni.
In un sistema regolato
dalla razionalità tecnica l’identità di ciascuno è data dal proprio ruolo. Non
è un caso che quando incontriamo una persona sappiamo qualcosa di lui non
quando ci dice il suo nome, ma quando ci dà il suo biglietto da visita in cui è
scritta la sua funzione. Infatti tra i valori della tecnica, oltre
all’efficienza e alla produttività, troviamo la funzionalità, cioè l’idoneità
di una persona a ricoprire al meglio la funzione che gli è stata assegnata,
finché quella funzione è ritenuta indispensabile.
Inseriti come siamo in apparati tecnici, che sono tanto le fabbriche
quanto gli uffici, la scuola, gli ospedali, che hanno in vista solo le
“funzioni” previste dalla razionalità tecnica e non le “persone” con le loro
identità, inclinazioni, vocazioni e aspirazioni, le persone che non si
attanagliano perfettamente con efficienza e produttività alle funzioni per le
quali sono previste (funzioni che vengono sempre modificate o soppresse in base
alle esigenze della razionalità del mercato) vengono dimesse, ricollocate o
sottodimensionate. E siccome l’esclusione degli apparati tecnici equivale a
un’esclusione sociale, è ovvio che le persone finiscono col trovare la propria
identità nel ruolo che stanno svolgendo, dove un riconoscimento in carriera
rafforza la loro identità così come ridimensionamento la indebolisce. Persino
la nostra libertà finisce col dipendere dal ruolo, perché più libero sarà chi
ha più competenza nei vari ruoli in termini di mansioni e di linguaggi. Così la
” libertà personale”, nell’età della tecnica si è ridotta a una “libertà di
ruolo”. Parola che deriva dal rotolo di pergamena sul quale l’attore leggeva la
sua parte.
Nell’età della tecnica
il ruolo è la condizione della formazione dell’identità della persona. Crediamo
di essere più liberi dei nostri predecessori che vivevano nell’età umanistica,
invece siamo, a nostra insaputa e con la nostra adesione, in una condizione
dove la nostra identità ci viene concessa dal ruolo che l’apparato tecnico
d’appartenenza ci assegna. Altro che “società liquida” come dice Bauman: la
nostra società è molto più cementata di quanto non fosse la società delle
generazioni che ci hanno preceduto.
umberogalimberti@repubblica.it - Donna di Repubblica – 18 gennaio 2014
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