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giovedì 9 gennaio 2014

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Toh, E’ Tornata La Lotta Di Classe

Il vero scontro politico, più che sul taglio alle imposte sul lavoro, riguarda la tassazione degli immobili. Perché se si vogliono trovare le risorse per sostenere la crescita è da lì che bisogna attingere. E invece il governo Letta fin dall’inizio…

Davvero pessimo il finale di partita 2013 del governo Letta. Pasticciato e convulso nelle procedure quanto contraddittorio e carente nelle scelte di sostanza. L’entrata in porto della madre di tutte le leggi – ovvero quella detta di stabilità – è stata gestita in un clima caotico di passi prima avanti e poi all’indietro che ha reso nebbiosa e indecifrabile la supposta strategia economica del governo. Mai, per esempio, s’era visto il ricorso a decreti d’urgenza per modificare nel giro di poche ore norme fatte appena approvare con voto di fiducia. Eppure proprio cosìè accaduto per quanto riguarda i cosiddetti “affitti d’oro” delle Camere ovvero la doverosa cancellazione di tagli finanziari punitivi per i Comuni esemplarmente nemici delle “slot machine”. Ma insomma, visto che si era scelta la strada di ricorrere al voto di fiducia, non si poteva avere almeno la buona volontà di sottoporre al Parlamento un testo ripulito da così tante incongruenze? Almeno si sarebbe evitato di offrire al paese l’immagine di un esecutivo incapace di destreggiarsi perfino nei percorsi legislativi.
Quanto Alla Sostanza della Legge di stabilità, le note sono ancora più dolenti perché i suoi effetti si dispiegheranno nel scorso dell’anno appena iniziato. Il nodo principale riguarda quello che tutti indicano come il maggior freno alla ripresa di una crescita di cui forse si può cominciare a scorgere qualche primo e timido germoglio: l’eccessiva tassazione sul lavoro. Non che manchi un’iniziativa di taglio al cosiddetto cuneo fiscale, ma con una penuria di risorse tale da far seriamente temere l’inefficacia a consuntivo del provvedimento. Anche perché ha francamente il sapore di una presa in giro l’impegno a fare di più in corso d’anno coi fondi che saranno recuperati dai tagli di spesa o dal contrasto all’evasione fiscale: tutti questi eventuali risparmi o maggiori incassi sono stati vincolati in via privilegiata ad altre assai probabili esigenze di bilancio corrente.
Si Fa Presto a dire che i limiti evidenti di questa manovra sono figli di un ostacolo oggettivo: la coperta corta dei conti pubblici. Il dato è inconfutabile ma riparandosi dietro questo schermo si rischia di nascita del governo Letta una sorta di peccato originale che ne ha condizionato pesantemente l’agilità di manovra: quella abolizione dell’Imu sulla prima casa che è stato il pedaggio imposto da Silvio Berlusconi per dare il via alla formazione del governo di larghe intese. Da una coperta già corta di suo si è così passati a una cortissima: con oltre 4 miliardi in meno da spesare in alternativa proprio alle risorse che si sarebbero potute ben più utilmente impegnare sul fronte della tassazione di lavoro e imprese.
Cosicché, In Un Paese in serie difficoltà per una congiuntura economica avversa da oltre cinque anni, è toccato di assistere allo spettacolo demenziale di un dibattito politico concentrato in via ossessiva per mesi sul tema dell’Imu. Senza che nessuna o quasi nessuna voce della classe dirigente – neppure la Confindustria che oggi leva alti e tardivi lai – trovasse il coraggio tempestivo e senza remore di denunciare tutta  la strumentalità demagogica dell’operazione offrendo così al pur pavido e remissivo Enrico Letta una sponda per non arrendersi al nefasto diktat berlusconiano. La cui coda velenosa, purtroppo, minaccia di intossicare il confronto politico nel corso dell’anno corrente anche a cavaliere dimezzato.
Dicono Tutti, infatti, che oggi la priorità è più che mai quella di spingere la crescita economica ma poi – com’è, come non è – a tenere sempre il tema della tassazione dei beni immobili. A parole in cima all’agenda c’è il taglio alle imposte sul lavoro, nei fatti a prevalere è lo scontro sulle rendite fondiarie. Una contraddizione politica dietro la quale, alla fine, si riaffaccia un’antica conoscenza della storia: la lotta di classe. Nel cui segno, piaccia o no, si è chiuso il 2013 e si apre anche il 2014.

Massimo Riva – L’Espresso – 9 gennaio 2014

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