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venerdì 31 gennaio 2014

Lo Sapevate Che: L'Amore E' Un Pericolo Da Correre In Due....


Scrive il teologo ortodosso Christos Yannaras: “Se esci dal tuo io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro a lui”

Nonostante la mia giovane età, non riesco più a sopportare il peso di un fardello che mi porto dentro da molto e che è riuscito oramai ad influenzare anche le mie relazioni interpersonali. Dopo anni di autoanalisi sono finalmente giunta alla sorprendente conclusione che preferisco allontanare chiunque mi si presenti, sia perché ho il terrore che egli “scompaia”, derubandomi di una parte o della totalità della mia persona, sia perché in fondo ho paura che io stessa, per mia natura, potrei “distruggerlo”, annullandolo a mia volta. Forse, più semplicemente, non faccio al mio prossimo ciò che non vorrei venisse fatto a me.
Inoltre, nonostante mi sia resa conto di non essere l’unica ad attuare questo processo, non riesco a trarne alcuna consolazione.
Perché lo si fa? E’ paura di amare o incapacità di amare per troppo amore di sé? Vorrei una risposta, che valga per me e anche per altri che ho conosciuto e sembrano mostrare i miei stessi sintomi, in modo da poter finalmente “riposare”. Se fossi pavida potrei sperare col tempo di essere adatta ad amare. Se fossi narcisista potrei giungere, sempre col tempo, a una serena rassegnazione riguardo la mia incapacità di amare, anche se è doloroso constatare la mancanza dell’unica cosa che non posso avere, cioè la capacità di provare vero amore.
Lettera firmata

La sua giovane età giustifica il fatto che la sua lettera sia piena di “io”. Un io difensivo che ha paura di farsi male innamorandosi, e un io, che si suppone offensivo e distruttivo, che ha paura di far male all’altro se lo fa innamorare.
Potremmo pensare a un io che ha ancora bisogno di costruire sé stesso, come diceva Freud, e che per questo si difende dall’amore che è violazione della propria integrità. Se le cose stanno così lasci tempo al tempo, e quando il suo io, dopo essersi costruito adeguatamente, finirà per annoiarsi di se stesso, si aprirà all’altro. Non per amare l’altro come solitamente si crede, ma per tenersi accanto chi le ha consentito di scoprire l’altra parte di sé, che il suo io non conosce e teme, ma di cui propriamente ci si innamora. Non ci innamoriamo difatti di chiunque, ma solo di chi intercetta l’altra parte di noi stessi e quindi ci svela.
Questa è anche l’essenza del pudore, che non è una faccenda di vesti o sottovesti, ma il rifiutarsi di mettersi a nudo con chi, del sottosuolo della nostra anima, non ci ha svelato nulla. Questo è il limite della libertà sessuale del nostro tempo che, nel mettere a nudo i corpi, non coinvolge l’anima, non destruttura l’io, non dischiude l’abisso di noi stessi, e così ci impedisce di conoscere quel che “in fondo” siamo, e che cosa da questo fondo possiamo generare, al di là dell’orizzonte ristretto del nostro io, che Freud ha opportunamente definito un “precipitato di difese”.
Ne è prova il fatto che dopo ogni storia d’amore, finisca bene o male, non siamo più quello che eravamo. Una generazione è avvenuta. Un io nuovo più capace di affrontare la vita di quello antico, prima che amore lo destrutturasse e facesse crollare le mura che lo difendevano dall’altra parte di se stesso, da cui solamente può scaturire nuova forza di vita. Per questo desideriamo l’amore e al contempo
lo temiamo. Lo desideriamo perché non ci stiamo più nei panni divenuti troppo stretti dell’io con cui finora siamo cresciuti, e al tempo stesso lo temiamo perché l’io teme di abbandonare gli ormeggi con cui ci siamo difesi dalla follia che ci abita e verso cui ci conduce amore.
In amore, infatti, l’io diventa passivo, e per questo parliamo di “passioni”, perché l’io patisce l’altro, senza che la sua razionalità possa opporre una qualche resistenza, in un momento magico, esaltante e anche minaccioso, in cui si viene a contatto, graie a chi ce ne facilita l’accesso, a quell’ignoto che noi stessi siamo e che, dal punto di vista dell’io, si chiama “follia”.
La follia d’amore che, a differenza della follia patologica, ha il pregio di essere breve. Perché nell’altra parte di noi stessi non possiamo dimorare se non per brevi attimi, giusto il tempo di dire: “Mi fai impazzire”, “con te perdo la testa”, e di fatto in quei momenti l’abbiamo già perduta.
Questo è l’amore: violazione dell’io, perché possa emergere la parte ignota di noi stessi, da cui un nuovo io possa rinascere, come ogni adolescente sperimenta con fascino, sorpresa, straniamento e anche dolore, in quella stagione della vita in cui il nostro io subisce lelimberti@repubblica.it più profonde trasformazioni.

Umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 25 gennaio 2014

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