(…) le forti
disuguaglianze di reddito sono state uno dei principali fattori di crisi
economica iniziata nel 2007 e tuttora in corso. Ne segue che lo svuotamento
dello stato sociale in nome dell’austerità perviene a configurarsi, nei suoi
effetti, come una distribuzione dei costi della crisi, operata nuovamente a
danno di coloro che della crisi stessa hanno già sopportato i maggiori costi.
Non da ultimo contraendo eccessivi debiti privati, in nessun modo definibili
come pubblici, allo scopo si sopperire alla moderazione salariale cui
sottostavano nella Ue da almeno quindici anni (negli Stati Uniti, in effetti,
da più di trenta).
Dinanzi alle pressioni cui è sottoposto da quelli che
passeranno alla storia come i governi dell’austerità, si moltiplicano gli studi
sul futuro del modello sociale europeo. In alcuni di essi il rimedio appare
semplice quanto radicale. Cito da uno dei tanti: “Si tratta di fermare l’ondata
di rimercificazione degli ultimi trent’anni e sostituirla con un movimento di
de-mercificazione”. Peraltro il rimedio appare essere un po’ meno semplice non
appena gli autori specificano che tale movimento dovrebbe appoggiarsi, primo a
una modifica dei rapporti di occupazione e di lavoro, secondo , a una
ricostruzione del settore pubblico; terzo, a una democratizzazione delle
società europee. In effetti a sgomentare in tali indicazioni non è tanto quella
che sembra essere la loro spropositata ambizione progressista, dinanzi a una
situazione politica che in quasi tutta la Ue appare muoversi in direzione
frontalmente contraria: è piuttosto la loro irrefutabile ragionevolezza.
Una ragionevolezza in presenza della quale tanto le riforme
per “modernizzare” lo stato sociale prospettate dal fronte neoliberale, quanto
quelle proposte da chi se ne vuole distinguere ma ciò nonostante abbraccia in
toto l’idea che i mutamenti economici, demografici e tecnologici degli ultimi
decenni richiedano ampie modifiche al modello sociale, appaiono singolarmente
del tutto fuori orbitat.
Se da un lato i fautori delle prime ricordano coloro che
nell’apologo di Bertolt Brecht segavano il ramo su cui erano seduti, per noi senza
un grido cadere nell’abisso, da parte loro i secondi ricordano gli astanti che
scuotono il capo in segno di deprecazione, dopodiché si rimettono compuntamente
a segare il ramo su cui sono seduti. Fuor di metafora: i fautori dell’ordine
neoliberale perseguono il risanamento dello stato sociale, ben consapevoli che
lo fanno al prezzo, che ritengono doloroso ma necessario, di sopprimere la
democrazia; i loro oppositori sembrano, per la maggior parte, non rendersi
conto di rischiare di sopprimere la democrazia quando si sforzano di adeguare
al “mondo che è cambiato”strutture e prestazioni del modello sociale europeo,
separandolo dal contesto pubblico, ideologico, economico, finanziario che ha
costruito lo schema interpretativo dell’intera questione. Mostrando, con ciò,
di conformarsi in realtà al medesimo paradigma neoliberale. Non rimangono
quindi molti strumenti a disposizione di coloro che credono sia vitalmente
necessario difendere, prima ancora delle sue strutture e prestazioni, le idee
politiche, morali e giuridiche che sono alla base del modello sociale europeo.
Nonché cercare di diffonderle tra i cittadini della Ue. Sembra giocoforza
concludere che al momento non vi sia altro da fare se non continuare a
ripetere, in ogni occasione, che i costi che ogni essere umano può essere
chiamato in qualunque momento a sopportare sono così elevati; così
imprevedibili per ogni individuo; così onerosi per le famiglie e per la persona
quando non si riesce a coprirli, da richiedere che la responsabilità di
sopportarli sia assunta dalla società nel suo insieme, ovvero dallo Stato, come
uno degli scopi più alti della politica, anziché essere accollata senza remore
né meditazioni al singolo individuo.
E’ questa l’idea che a onta delle immense differenze di
storia, cultura, linguaggio e geografia che li dividono potrebbe far crescere
nei cittadini dell’Unione il senso profondo di far parte di un progetto di
incivilimento, di progresso sociale, che non ha paragoni al mondo. Un progetto
che si identifica con una nozione di democrazia come un sistema politico in cui
tutti i membri di una collettività hanno sia il diritto, sia la possibilità
materiale di intervenire in modo effettivo e partecipato nella formula nella
formulazione delle decisioni che toccano la produzione e la distribuzione di
quei beni pubblici, quali il modello sociale europeo incorpora, da cui dipende
non soltanto la materialità della loro esistenza, ma pure lo stesso significato
ultimo che a essa vorrebbero attribuire.
Luciano Gallino – Il Colpo di Stato di Banche e Governi –
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