Al Colle vive e comanda
l’ultimo comunista
senza più il comunismo
Il comunismo per il
mondo è finito con la caduta del muro di Berlino, ma per
molti italiani, compreso chi scrive, era
finito qualche anno prima,
l’11 giugno 1984, il
giorno della morte di Enrico Berlinguer. Questo non toglie
che i figli di quella tradizione abbiano continuato a
influenzare pesantemente la vita pubblica italiana. Sono comunisti senza
comunismo, ormai orfani di pensiero, privi della spinta propulsiva di una delle più grandi e nobili e tragiche
illusioni della storia umana, ma pur sempre dotati del geniale professionismo
politiconi una grande scuola. Prima della caduta del Muro, l’Italia aveva il
più grande partito comunista d’occidente. Dopo, è stato ancora l’unico grande
Paese d’Europa in cui la guida della sinistra
è rimasta saldamente nelle mani di ex comunisti: D’Alema, Vetroni,
Fassino, Bersani. Almeno fino all’altro giorno, alla vittoria di Matteo Renzi.
Ma si tratta di una vittoria parziale, a ben guardare.
Perché il vero erede della tradizione comunista era ed è
ancora Giorgio Napolitano; e non è detto che Renzi riesca a sconfiggerlo.
Napolitano è il perfetto esempio del comunista senza più comunismo. Un soggetto
sul quale in Italia non si riesce neppure ad avviare un dibattito obiettivo,
tante e tali sono le passioni che evoca, pro o contro. C’è chi lo difende come
il salvatore della patria e c’è chi ormai lo considera una specie di golpista.
Per un pezzo di giornalismo ormai il presidente ha sostituito Berlusconi come
nemico assoluto, che di per sé sarebbe grottesco. In mezzo a questi estremi,
quasi non esiste uno spazio ragionevole.
Il fatto è che Napolitano rappresenta del vecchio Pci anche
la doppiezza. E’ stato un salvatore della patria ed è pure un’anomalia
democratica. Soltanto uno stupido o un furbo in malafede può negare che, se in
questi vent’anni il berlusconismo non si è tradotto in un regime autoritario, è
stato al novanta per cento grazie agli inquilini del Quirinale, prima Scalfaro,
poi Ciampi e infine Napolitano. Sarebbe bastato che Berlusconi avesse una volta
eletto il proprio candidato al Quirinale o anche incrociato un Cossiga e ci
saremmo trovati come la Russia di Putin. Per contro, è difficile non
riconoscere che oggi il multiforme protagonismo politico del Quirinale,
stratega di alleanze e King Maker di
governi del presidente (Monti, Letta), travalica abbondantemente la funzione di
garante della Costituzione.
Ormai Napolitano detta l’agenda e mantiene in vita
artificialmente un governo di minoranza che rappresenta il 30 per cento dei
voti espressi a febbraio e forse molto meno, visto il risultato delle primarie
del Pd. Può farlo perché è un gigante fra nani, l’ultimo grande politico,
l’unico che sia riuscito, sia pure sulla soglia dei novant’anni, a coronare il
sogno del vecchio Pci: un comunista italiano
alla guida del governo.
Curzio Maltese – Venerdì di Repubblica – 3 gennaio 2014
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