Un Esperimento Chiamato
Matteo
La Crisi Economica di questi anni ha accentuato il
distacco dei cittadini dalle democrazie vigenti e ha approfondito le critiche
tradizionali ai partiti. Negli ultimi decenni l’atteggiamento prevalente era
stato: i partiti . Negli ultimi decenni l’atteggiamento prevalente era stato: i
partiti non ci piacciono, ma sono necessari per fare funzionare una democrazia.
Recentemente, specie nella sinistra, le posizioni sono diventate: non sappiamo
più se i partiti sono effettivamente necessari; cominciamo a pensare che
possiamo farne a meno. Negli stessi anni, poi, i partiti si sono trasformati
sempre più in istituzioni pubbliche con forte personalizzazione; più lontani
dai cittadini, ma ancora necessari per gestire e distribuire risorse, stando al
governo. In Italia, il fenomeno è ancora più accentuato e ha creato numerose
occasioni di corruzione con un conseguente ulteriore distacco e critiche
radicali e diffuse. Bisogna allora chiedersi: in che cosa consiste effettivamente
la novità del Pd di oggi? E quali sono i
pericoli conseguenti?
Nel Contesto Descritto una sinistra che voglia salvare se
stessa ha tre possibilità. La prima è scegliere a priori di stare
all’opposizione e cavalcare lo scontento, che forse si attenuerà, ma molto
difficilmente verrà meno. E’ una soluzione adatta a una sinistra minoritaria o
a un partito di protesta. Non a una sinistra che, sorretta dai propri valori di
eguaglianza, aspiri a governare.
Una seconda è ripartire dai cittadini, riavvicinare il
partito a loro, ricostruire una comunità di valori e persone, creando forme di
partecipazione e dibattito su cui basare, poi, un’azione tradizionale attraverso
le elezioni, il Parlamento ed, eventualmente lo stare al governo. E’ questa la
traduzione concreta della cosiddetta democrazia deliberativa. Per l’importanza
che ha la partecipazione e la creazione di identità conseguenti, questa
alternativa - anche solo coniugata a livello locale – è rimasta e rimarrà nella
sinistra, non solo italiana. Sarà, però, minoritaria, perché nel frattempo per
altre ragioni la stessa partecipazione è fortemente diminuita negli anni; gli
antichi valori sono sempre più dimenticati; l’organizzazione partitica sorretta
dai sacrifici dei militanti è scomparsa insieme alle possibilità di ricostruire
ampie comunità; le trasformazioni nelle forme di comunicazione hanno personalizzato
sempre di più la politica. E’ in questo contesto e sulla base del fallimento o
dello scarso successo delle alternative che emerge la terza:
l’esperimento Renzi. Se un partito dentro il potere è
delegittimato, se un partito troppo distante è inutile, se un partito vicino ai
cittadini non è concretamente possibile, ricreiamo il partito per quello che
dovrebbe essere, cioè una struttura intermedia che esprima i bisogni dei
cittadini, anche attraverso un leader, svolga un ruolo di proposta politica,
suggerisca l’agenda al governo e poi ne controlli costantemente l’azione.
Si Tratta Certamente di una novità, ma un partito del
genere può effettivamente esistere e stabilizzarsi? O finirà se e quando Renzi
diventasse primo ministro?
Un partito (a vocazione maggioritaria) che non sta al governo
o non svolge un ruolo di attiva opposizione ha ancora senso? In passato, sono
esistiti partiti fuori dalle istituzioni, ma erano sorretti da comunità e
organizzazioni. La sfida è proprio questa: Renzi deve essere consapevole della
strada nuova e difficile, intrapresa in un contesto di democrazia paralizzata
dalle inefficienze e dal debito. Non vi è, però, un pericolo di crisi del
governo. Anzi il partito guidato da Renzi ha bisogno di un governo stabile, che
funzioni ma che, specie se di coalizione, diventerà inevitabile anche l’arena
in cui si dovranno mediare i conflitti sulle politiche. L’esperimento Renzi
comporta anche altre conseguenze, sia in termini di quale sia l’organizzazione
più appropriata per un partito simile, sia su come gli altri partiti dovranno
competere con il nuovo Pd. Se tutto questo avvenisse e durasse, il sistema
partitico ne uscirebbe ridefinito.
Leonardo Morlino – L’Espresso – 16 gennaio 2014
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