Repubblica Inetta
Nazione Corrotta
Nonostante gli angeli
vendicatori di Tangentopoli la corruzione dilaga ancora in Italia. E la
spiegazione si trova in Machiavelli: è l’incapacità di governare a produrre
malaffare e conflitti d’interesse
Corruzione, corrotti, corruttori. Non si parla d’altro. Ma
come? Non avevamo stretto un patto col destino dopo Tangentopoli? Che mai più
saremmo incorsi in simili peccati? Non erano discesi dal Sinai eserciti di Di
Pietro, con il loro seguito di angeli vendicatori? E ancora non vi è chi tema
le loro pene? Neppure i nipotini di Berlinguer e i giovani scout? Nulla dunque
può spezzare l’aurea catena che dalle origini della patria va ai Mastellas e da
lì ai Boccias, e abbraccia in sé destri e sinistri, senes, viri et iuvenes?
Ah, se invece di moraleggiare pedantemente, leggessimo i
padri! “uno tristo cittadino non può
male operare in una repubblica che non sia corrotta”. (Machiavelli, Discorsi
sopra la prima deca di Tito Livio, Libro III. Cap.8). Niccolò vedeva
dall’Albergaccio meglio che noi ora da Montecitorio. Tristi cittadini sempre ci
saranno. Ma in una repubblica che non sia, essa, corrotta, poco potranno
nuocere e facilmente essere “esiliati”. Gli “ordini” contano, le leggi, che non
sono fatte dai giudici. Le leggi non cambiano la natura umana, ma la possono
governare. E’ la repubblica corrotta che continuamente produce i corrotti.
E quando una Repubblica
è corrotta Quando è
inetta. Quando risulta impotente a dare un ordine alla molteplicità di interessi
che la compongono, quando non sa governare i conflitti- , che sono la vera
ragione della sua stessa vita, ma li patisce e li insegue. Se è inetta a mutare
in relazione all’”occasione”, se è inetta a comprendere quali dei suoi ordini
siano da superare e quali nuovi da introdurre, allora è corrotta, cioè si
corrompe e alla fine si dissolverà. Corruzione è anzitutto impotenza. E
impotenza è incapacità di “deliberare”.
Una repubblica strutturata in modo tale da rendere impervio
il processo delle decisioni, da rendere impossibile comprendere con esattezza
le responsabilità dei suoi diversi organi, una repubblica dove si costretti
ogni volta alla “dannosissima via di mezzo”(sempre Niccolò docet), alla
continua “mescolanza” di ordini antichi e nuovi, per sopravvivere – è una
repubblica corrotta e cioè inetta, inetta e cioè corrotta.
Ma Quando Questa
Infelice repubblica
darà il peggio di sé? Con megagalattiche ruberie da Tangentopoli? Purtroppo no.
Piuttosto (“banale” è il male), allorchè diviene quasi naturale confondere il
priva col pubblico, concepire il proprio ruolo pubblico anche in funzione del
proprio interesse privato. Magari senza violare norma alcuna – appunto perché
una repubblica corrotta in questo massimamente si manifesta: nel non disporre
di norme efficaci contro i “conflitti di interesse”, di qualsiasi tipo essi
siano.
Una repubblica è corrotta quando chi la governa può credere
gli sia lecito perseguire impunemente il “bene particolare” nello svolgimento
del proprio ufficio. Che questo “bene” significhi mazzette, o essere “umani” con
amici e clienti, “essere regalati” di qualche appartamento, manipolare posti
nella Asl o farsi le vacanze coi soldi del finanziamento pubblico ai partiti,
cambia dal punto di vista penale, ma nulla nella sostanza: tutte prove della
corruzione della repubblica.
Poiché soltanto “il bene
comune è quello che fa grandi le città” (Discorsi, Libro II, cap 2). Il
politico di vocazione può riuscire nel difficile compito di tenerlo distinto
sempre dal suo privato. Il politico di mestiere, mai. Quello che si è messo
alla prova nei conflitti della repubblica senza corrompersi, può farcela. Il
nominato, il cooptato, che abbia cento anni o venti, mai.
Ma Abbiamo forse toccato il fondo. E questo
deve darci speranza. Per vedere tutta la virtù di Mosè, diceva Niccolò, era
necessaria tutta la miseria di Israele.
Massimo Cacciari – L’Espresso – 30 gennaio 2024
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