Cominciamo bene, anzi
cominciamo male
Lo spread cala.
Ed è un buon segno,
anche se l’uscita dalla crisi è ancora lontana. Una conferma che la stabilità
politica alla fine paga.
Eppure sono
ricominciate quelle beghe correntizie che gli italiani non vogliono più
L’anno domini 2014 si è aperto con una buona notizia e una
cattiva. Che messe insieme, a volte succede, sintetizzano mirabilmente ciò che
siamo e ciò che non vogliamo e pure ciò che saremo, così i due problemi che ci
accompagneranno per tutto l’anno appena cominciato: crisi economica e
confusione politica, la prima aggravata da mesi di deflazione, la seconda
condizionata dall’irruzione sulla scena di Matteo Renzi.
Quella cattiva è l’imbarazzante battibecco tra il
neo segretario del Pd e Stefano Fassina culminato nelle dimissioni del “giovane
turco” dall’incarico di vice ministro dell’Economia. E’ vero, l’uno non resiste
alle battute (“Fassina chi?”), e invece ora dovrebbe, via; ma l’altro, dalle
primarie che nel 2012 incoronarono Bersani a oggi, gliene ha dette di tutti i
colori: “Renzi? Una figura minoritaria”; “Un ex portaborse diventato sindaco di
Firenze per miracolo”; “Sull’economia ripete a pappagallo le ricette della
destra”. Acidità. Ripagate da Renzi: “Sulla rottamazione faccio un’eccezione:
mi tengo Morando e vi lascio Fassina”. Cattiverie, dietro le quali si
nascondono ahimè più profondi dissensi politici. E già questo… Ma, quel che è
peggio, sembra di essere tornati rapidamente a quel chiacchiericcio di insulti,
liti correntizie e beghe ch hanno spinto alle primarie del Pd milioni di
militanti ed elettori speranzosi che si cambiasse davvero. Proprio mentre si orna a parlare di rimpasti, patti di
governo, accordi, staffette…
Invece la notizia buona è che lo spread fatidico
differenziale tra i rendimenti dei titoli italiani e tedeschi, è tornato sotto
i 200 punti. Dopo tre anni di inferno e purgatorio. Il 9 novembre 2011 aveva
toccato quota 574 mettendo l’Italia a rischio default. Fu per questo che
Giorgio Napolitano spinse Silvio Berlusconi a un passo indietro e giocò la
carta a sorpresa di Mario Monti. Quando il prof ha lasciato, lo spread era a
272. Il governo Letta si è avvicinato alla zona salvezza Ora, si potrà pure
oronizzare su quel numerino ansiogeno che molti vorrebbero manovrato da poteri
forti, cancellerie arroganti e big della finanza, ma il dato concreto è che
questa risalita – riuscita senza ricorrere all’aiuto finanziario della Ue o del
Fmi – significa per il Tesoro 9-10 miliardi l’anno di risparmio sul costo del
debito (due volte l’Imu sulla prima casa, per intenderci). E si potrà pure
discutere se a favorire il recupero sia stata l’ingente liquidità riversata sui
mercati dalla Federal Reserve americana, o piuttosto lo scudo antispread
costruito dalla Bce di Mario Monti, Letta e Saccomanni nel convincere Berlino e
Bruxelles che è stata imboccata la strada giusta (almeno per quel che riguarda
la spesa pubblica), che altro si farà per favorirne la crescita e che è
possibile una stabilità di governo almeno per tutto il 2014. Nonostante
Fassina, Grillo e Berlusconi.
Eppure Non Basta. L’altra faccia dell’azienda Italia
mostra infatti deflazione, gelata dei consumi che nemmeno i saldi riscaldano,
banche che lesinano finanziamenti alle imprese disoccupazione alta, disagio
sociale pronto a esplodere… E c’è ancora molto da camminare sulla strada dei
tagli di spesa pubblica e di sprechi, e della riduzione del carico fiscale
ormai insopportabile per famiglie e imprese (quelle che pagano le tasse, si
intende).
Ecco perché la stabilità non è un bene in sé, ma lo strumento
per portare a termine l’impresa del risanamento. Già una volta, a fine anni
Novanta, grazie all’arrivo dell’euro e al conseguente drastico calo dei tassi
di interesse, l’Italia si ritrovò tra le mani un tesoretto, anzi un tesorone
per via dei minori interessi sul debito. Ma quel vantaggio è stato sprecato,
buttato al vento, e quelle risorse non sono state destinate a innovazioni e
crescita, e competitività ed efficienza, ma a distribuire prebende a lobby e corporazioni
e ingrassare la burocrazia. Ora dobbiamo più o meno ricominciare da quindici
anni fa. Ma nella consapevolezza che non ci saranno concesse altre prove
d’appello.
twitter@bmanfellotto
Bruno Manfellotto – L’Espresso – 16 gennaio 2014
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