...
Senza tutele e diritti
Carissimo Serra, oggi
ho ricevuto una proposta di lavoro: un periodo
di prova di sei mesi,
finanziato dalla Regione, presso un grande negozio
di elettrodomestici
presente anche nel paese in cui vivo.
Retribuzione di 3 euro all’ora. Però pagati alla fine, cioè
il settimo mese. Si tratta, mi hanno spiegato, di un periodo che serve
all’azienda per valutare la persona. Ma il contratto non è, assolutamente, da
intendersi finalizzato all’assunzione. Ricapitoliamo: 480 euro mensili per 8
ore al giorno, pagati dopo sei mesi, senza garanzie di assunzione. Allora mi
sono chiesto se per caso sono io che non sono al passo con i tempi oppure c’è
qualcun altro che mi sfugge. Mi sono chiesto in che Paese mi trovo. Nord, Sud
del mondo?
Le lotte sindacali, fiumi di persone in piazza, scontri e
chiacchiere per decenni hanno portato a questo: in Italia, oggi, è del tutto
legale “assumere” una oersina, con i soldi della Regione, per sei mesi, pagarla
3 euro l’ora e dopo gettarla via nell’insieme indifferenziato dei senza lavoro
e senza speranza.
Spero che tu possa dare voce alla mia, perché non è più
tollerabile che nessuno prenda in mano le istanze della gente comune, della fu
classe operaia.
Mihajlo Miloradovic (Villafranca di Verona)
Della tua lettera, caro
Mihajilo, mi colpisce molto la frase finale: la gente comune definita “fu
classe operaia”. La prendo per buona. Finito il mondo delle fabbriche, della
dialettica salario-profitto come conflitto-centrale del mondo novecentesco, è
come se fosse in atto una gigantesca proletarizzazione, che risucchia anche
parti consistenti del ceto medio e soprattutto coinvolge, quasi per intero, le
nuove generazioni. La differenza sostanziale tra quel proletariato e questo è
che senza fabbrica, e con il lavoro parcellizzato fino a sbriciolarsi, è molto
difficile organizzare il mutuo soccorso, la rappresentanza sindacale e
politica, insomma è molto difficile che nasca quella che una volta si chiamava
“coscienza di classe”. La classe non esiste più, esiste un magma infinito e
scollegato di solitudini, di nuove povertà, di problemi di reddito che sono, al
tempo stesso, anche problemi di identità: un operaio di fabbrica, per quanto
malpagato, sapeva di essere un operaio, di appartenere a una classe, di poter
contare su una rappresentanza, e dunque di poter lottare. Oggi non è così; e
non sappiamo per quanto; e non sappiamo quali prospettive e quali esiti possa
riservare il futuro alla moltitudine dei non garantiti, e di conseguenza a ciascuno
di noi, garantiti compresi, perché “nessuno è un’isola”.
Il primo soggetto
politico, o sindacale, o intellettuale che riuscirà a dare ragioni collettive,
e un’identicità condivisa, ai tanti come te (che devono decidere se accettare
un salario miserabile o restarsene a casa a chiedersi se hanno sbagliato a
rifiutare), avrà il futuro in pugno. E riuscirà a riavviare la macchina
inceppata della politica. Nel frattempo, le voci sono piene di comprensibile
rabbia, (…)
Michele Serra – Venerdì di Repubblica – 3 gennaio 2014
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