“E il tuo dove ha
scelto di andare?”. Non esiste ormai un amico con il quale non ci si scambi
questa domanda sul futuro dei propri figli. Persone del cosiddetto ceto medio
riflessivo, secondo la definizione di Paul Ginsborg che per una vita hanno
lavorato in Italia e pagato fino all’ultimo centesimo di tasse, sono scese in piazza per difendere
il diritto allo studio nella scuola pubblica e per cambiare il Paese, ma alla
fine hanno alzato bandiera bianca. Quando si tratta di scelte capitali,
l’avvenire di una figlia o di un figlio, tirano fuori la mappa d’Europa o del
mondo e cominciano a ragionare con la prole della destinazione migliore. Chi
può permetterselo, li scrive alle scuole straniere già in Italia, il prima
possibile; al più tardi, si aspetta la laurea per scegliere la specializzazione
altrove. Sono ormai centomila gli italiani che ogni anno vanno a cercare lavoro
all’estero, più del doppio degli stranieri che vengono a lavorare in Italia. E
ancora non s’è capito che il vero problema non è più l’immigrazione, intorno
alla quale si spendono fiumi di parole e di retoriche e di propaganda politica,
ma l’emigrazione, sulla quale non si trova uno straccio di politico o di
opinionista da talk show in grado di esprimere un parere sensato, figurarsi
d’immaginare una soluzione. Ad andarsene all’estero, in Inghilterra, Germania,
Svizzera, Francia, Stati Uniti, è soprattutto la nostra meglio gioventù, i più
intelligenti, colti, tecnologici, quelli con maggior voglia di fare. Si calcola
che ogni posto high tech ne produca altri cinque nei servizi. Con questo si
spiega, in parte, come negli ultimi dieci anni la disoccupazione giovanile sia
in media diminuita nel Nord Europa, nonostante la crisi, e raddoppiata in
Italia, come in Spagna o Grecia o Portogallo. Tutti i Paesi, insomma, dove le
riforme adottate per (non) contenere il debito pubblico hanno comportato tagli
enormi all’istruzione, agli investimenti tecnologici, alle politiche per creare
occupazione giovanile. Sta avvenendo su scala continentale quello che è
avvenuto con l’unità d’Italia: l’emigrazione sta scavando un fossato
incolmabile fra aree ricche e povere. Senza un intervento, la situazione è
destinata a peggiorare nei prossimi dieci anni, visto che ormai i due terzi
degli italiani sono convinti che l’unica strada per i propri figli sia cercare
lavoro all’estero. Anni fa si discuteva molto, magari per irridere, della
minaccia di questo o quell’intellettuale di andare a vivere all’estero per
fuggire dal declino del Paese. Ora che un intero pezzo del nostro miglior ceto
medio sta scappando dall’Italia, anno dopo anno, possibile che non se ne
preoccupo nessuno?
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 20
febbraio 2015 -
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