(..) è stato un professore di filosofia, di cui ho davvero la
massima stima, a farmi leggere il suo intervento più recente, qualche settimana
fa, sul poliamore. O meglio: su quello che lei erroneamente intende per
poliamore. Il termine poliamore ha un significato ben preciso, facilmente
reperibile su internet, Ho il dubbio che lei non abbia nemmeno fatto uno sforzo
di leggerne la definizione, chessò, su Wikipedia. Infatti nel suo intervento si
evita qualunque distinzione tra diversi tipi di non-monogamia, ad esempio tra
poliamore e semplice libertinaggio. Lei cita più volte il disimpegno emotivo,
la liberazione dello spessore etico, la perdita di responsabilità e di se
stessi: queste parole feriscono profondamente chi, come me, ha maturato una
coscienza non-monogamica e da oltre quattro anni vive una relazione amorosa che
è ricca sì di piacere, spirituale e carnale, ma anche di impegno, di
responsabilità, talvolta di difficoltà e anche di regole e di doveri, sebbene
non quello di astenersi da altre relazioni, che infatti entrambi abbiamo,
alcune estemporanee, altre più durature. Lei ha decine di migliaia di lettori
che la seguono attentamente e si fidano di lei e di ciò che scrive: la prego di
rendersi conto che un approccio così superficiale a una realtà come le
non-monogamie, alimenta l’ignoranza e i pregiudizi riguardo a un tema
importante, per cui molte persone soffrono quotidianamente, sentendosi derise e
a volte escluse per il loro non essere in linea a quello che è ancora un
paradigma dominante della nostra società. (..).
Lettera firmata
(..). Non potendola “contattare con anticipo”, non pubblico
il suo nome. E però le dico che al suo invito a informarmi di più sugli
argomenti che tratto, magari, come lei mi suggerisce, su Wikipedia che non mi
pare sia proprio una Bibbia, sono io che chiedo a lei di darmi più informazioni
sulla sua scelta di vita. Perché una cosa è se lei è un single che, non
credendo alla monogamia, si concede a diverse relazioni, altra cosa se è in
coppia ed entrambi avete deciso che la vostra sia, come si diceva un tempo, una
“coppia aperta”, altra cosa ancora se lei è sposato e ha dei figli, cosa che
comporta una maggior responsabilità nelle proprie scelte. E’ infatti evidente
che situazioni diverse, comportano considerazioni diverse. Venendo al tema, non
ho mai scritto che coloro che si concedono a relazioni diverse sono dei
libertini, perché anch’io so cogliere la differenza tra una pura e semplice
soddisfazione dei sensi e una vera e propria relazione d’amore che, più dei
sensi, coinvolge l’anima. So anche quanto una relazione altra, rispetto a
quella che già si possiede, comporti, oltre al piacere degli incontri, anche
conflitti, tormenti, pensieri e persino, come lei dice, responsabilità. Ma non
può negare quello che era al centro del mio discorso: e precisamente il fatto
che, anche alla base di quello che Jaques Attali chiama poliamore (o qualsiasi
altro nome lei voglia dare, tanto la sostanza non cambia), c’è una radicale
trasformazione del concetto di libertà che oggi, come mai prima, è sempre più
intesa non come una “scelta”, ma come “revocabilità di tutte le scelte” (..).Nelle
mie risposte alle lettere non sono interessato ad alcuna forma di giudizio, ma
piuttosto alla segnalazione delle trasformazioni culturali che la nostra
società subisce, spesso a nostra insaputa. E non è una trasformazione culturale
che uomini e donne si concedano a più relazioni, perché questo è sempre stato,
ma che oggi questa possibilità sia legittimata da quel nuovo concetto di
libertà come “revocabilità di tutte le scelte” che è subentrato nel nostro
tempo. E’ possibile rendere edotti i lettori di questa trasformazione e delle
relative conseguenze? O bisogna informarsi di più per dire una cosa così
semplice che è sotto gli occhi di tutti, ma che purtroppo spesso non è vista e
tantomeno considerata?
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 31 gennaio 2015
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