Ho letto in questi giorni due omelie del Cardinale Martini,
la prima alla vigilia della guerra del Golfo, la seconda di pochi giorni
successiva all’11 settembre, intitolate “Noi e l’Islam”. Come è accaduto che
quell’”e”, già tanto drammatico, si sia trasformato in un abisso apparentemente
insuperabile? Certo, nulla di ciò che Martini auspicava si è verificato. Nulla
si è fatto per eliminare le cause di risentimento, di disprezzo, di odio che
tanta parte del mondo islamico nutre nei confronti dell’Occidente. Anzi, guerre
sciagurate nel corso dell’ultimo ventennio hanno finito con lo sconvolgere i
già precari equilibri in tutto il Medioriente, moltiplicando proemi e
conflitti, lungi dall’avviarli a soluzione. L’assenza di ogni strategia
nell’affrontare le “primavere arabe” ha, poi, lasciato che proliferassero nuovi
“mostri”, come lo “Stato islamico”, ormai accampato sulle rive del Mediterraneo
in faccia alla Sicilia. Che La Leadership europea abbia risposto con unità e
ragionevolezza all’assalto terroristico di Parigi può consolare, ma non muta i
termini della tragedia. Soltanto un’Europa politicamente unita, fondata sui
principi di solidarietà e sussidiarietà, in grado di intervenire con un proprio
disegno culturale, economico e politico sulla scena mediorientale, potrà
dimostrarsi alla sua altezza. E non è forse evidente che tra i fini della
guerra dichiarata da “Stato islamico”, Al Quaeda, ecc., vi è quello di creare
le condizioni per una violenta reazione xenofoba contro l’Islam tout court, che
porti al successo le forze nazionaliste, micro-nazionaliste, anti-euro e
anti-unitarie in Europa? Tutto si tiene, come sempre. Coloro che lavorano e
predicano per spezzare ogni ponte, ogni possibile “traduzione” tra i linguaggi dell’Europa
e quelli dell’Islam, coloro che nei fatti affermano come sola logica qui
applicabile quella amico-nemico, sono gli stessi che stanno tentando di disintegrare
la possibilità stessa dell’unità politica europea. E che hanno come migliori
alleati i liberisti-rigoristi senza se e senza ma, quelli che fanno coincidere
l’idea d’Europa con la sacra stabilità dell’euro-marco. Ma a costoro non si può
certo rispondere con gli “abbracciamoci tutti”. “Scontro di civiltà” è
un’espressione sciocca perché ogni civiltà sono molte. Conoscerne le differenze interne è fondamentale per ogni strategia di pace, senza la quale anche
la guerra diviene cieco atto di violenza o di vendetta. (..). La così detta
“integrazione” inizia da qui, e poi potrà svilupparsi sul piano economico e
sociale. Inizia dalla conoscenza dell’altro, dal discernimento delle sue stesse
interne posizioni e dall’apprezzamento di quelle che rendono possibile una
relazione matura e consapevole. Senza una tale intelligenza neppure parlare di guerra ha senso! Quale arte della
guerra sarà mai concepibile se non si sa far leva sulle contraddizioni interne
al campo “nemico”?. Ma Ancor Più necessario in questo confronto
epocale sarebbe riflettere sulla nostra “identità” un questo inizio si
Millennio. Ci è facile criticare quella, fortissima, che ogni autentico
musulmano ritrova, in sé: la propria sottomissione
in ogni aspetto della vita alla volontà rivelata di Dio. E noi? Libertà
insofferente di ogni limite? Insaziabile brama che mai può trovare
soddisfazione? La paradossale “religione” di un infinito progresso, nella quale
costringere a entrare tutti gli abitanti del pianeta? Impossibile un dialogo
dove chi lo inizia non si metta anche in discussione. Nei suoi momenti più alti
l’Europa di questo è stata capace. Saprà esserlo ancora?
Massimo Cacciari – Parole nel vuoto – L’Espresso – 5 febbraio
2015 -
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