Forse ci siamo finalmente buttati alle spalle il ventennio
più sciagurato della storia repubblicana. Forse possiamo dire che una parentesi
si è chius, che potrebbe aprirsi una stagione nuova. E ancora una volta la
possibilità di un “cambio di verso”, la responsabilità di imboccare la strada
giusta, è tutta nelle mani del Pd di Matteo Renzi, tornato al centro della
scena. Magari sotto lo sguardo attento e partecipativo di Sergio Mattarella, la
cui elezione segna un punto di non ritorno. Per capire perché, può essere utile
prendere spunto da dati di fatto di cui si parla poco, ma che Massimo Cacciari,
sempre attento ai fenomeni profondi che percorrono la società, non si stanca di
analizzare. Per vent’anni il riformismo moderno . comprendere e governare i
cambiamenti – si è trovato schiacciato tra due fronti contrapposti e
inconciliabili, sia nel dibattito politico sia nel Pd, il partito nato per
rinnovare la sinistra e portare a termine un necessario processo di sintesi tra
culture diverse. L’ala postcomunista si è stancamente trascinata dietro la
cultura ereditata direttamente dagli anni
Settanta-Ottanta, un’analisi della società e una ricetta economica non
più capace di affrontare e risolvere le conseguenze della Grande Crisi, prima
tra tutte le scarsità di risorse pubbliche: nessuno ha avuto il coraggio di
scegliere – basti pensare al fallimento della spending review – e i governi,
politici e tecnici, hanno via via oscillato tra aumento insopportabile della
pressione fiscale e odiosi tagli al welfare. (..) Finchè Sulla Scena è arrivato Renzi che con le parole
d’ordine della rottamazione e della velocità e la capacitò di parlare anche
oltre i confini presidiati dal Pd, ha messo in discussione le vecchie certezze
e costretto la nomenclatura a un passo indietro. L’operazione ha avuto la sua
celebrazione con l’elezione di Mattarella, anche se per battere Berlusconi e la
vecchia guardia, trovare l’intesa tra le due anime del partito e vincere la
corsa al Quirinale è stato necessario pescare ancora una volta nel
cattolicesimo democratico. Aiuta a capire metodo e determinazione il retroscena
raccolto da Claudio Tito, quando Renzi, alla vigilia del voto, congeda l’ex
Cav: “Mi dispiace per te e per D’Alema, ma il nome non è Amato, è Mattarella”.
Bene, adesso la presa di potere di Renzi si può dire compiuta e il
segretario-premier ha campo libero. Che farà? Darà nuovo ruolo al partito
ritrovato, o prevarrà l’affermazione della sua personale leadership? Spingerà
su un nuovo assetto istituzionale, o lascerà le cose come stanno? Ripenserà o
no la politica economica e del lavoro? Insomma, riuscirà questo Pd a cancellare
le incrostazioni, sposare un riformismo nuovo? E Mattarella aiuterà la svolta?
Ora che Rensi ha conquistato partito e governo e vinto la corsa al Quirinale,
alibi non ce ne sono più.
Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – Questa settimana
– L’Espresso – 12 febbraio 2015 -
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