Dopo Charlie Hebdo, la notizia più preoccupante che
arriva dalla Francia l’ha fornita direttamente il primo ministro socialista
Manuel Valls. Ha definito “ghetti” le periferie difficili, soprattutto della
cintura parigina, dove si registra “un’apartheid territoriale, sociale,
etnica”. Ha detto proprio “ghetti”, come quelli in cui venivano relegati gli
ebrei, in una spettacolare inversione di senso. O quelli dei neri negli Stati
Uniti, spesso usati in passato a paragone per sottolineare una superiorità
della République in materia di integrazione. E ha detto proprio “apartheid”
come nel Sudafrica del suprematismo bianco. Manuel Valls Aveva già usato quelle espressioni nel
2005, all’epoca delle rivolte in banlieue ma allora era sindaco di Evry. Oggi
che siede a Matignon il peso del suo pensiero è diverso. Obbliga la Francia (e
l’Europa tutta) a riflettere. I moti di dieci anni fa hanno provocato un
importante sforzo dello Stato, una mole di investimenti coraggiosi, soprattutto
in anni di crisi economica. Edifici rifatti, centri sociali, cinema, scuole. Ma
tutto questo non ha impedito che nei “ghetti” crescessero i Kouachi e i
Coulibaly. Nel disinteresse di una Francia che, speso il denaro, si è sentita
la coscienza in pace e ha voltato lo sguardo da un’altra parte. Ancora Valls:
“Di queste tensioni che covano da troppo tempo ne parliamo solo in modo
intermittente”. Un J’Accuse Spietato, anche contro se stesso, che, per
essere produttivo, deve scoprire come mai si è inceppato il modello di
integrazione assimilazionista. Ed è stato sostituito, sul terreno e contro la
volontà del governo, dall’aborrito modello opposto, quello “comunitari sta”
(cioè delle comunità etniche chiuse in se stesse) per cui tanto sono stati
criticati gli inglesi- Ma la campana che suona a Parigi deve far sentire i suoi
rintocchi anche da noi. Prima di Natale le nostre periferie erano in subbuglio.
Le abbiamo guardate da lontano, salvo passare subito ad altri temi. Attenti
però: è in quelle aree, in ogni senso fuori controllo, che si annida il
pericolo.
Gigi Riva – Analisi – L’Espresso – 29 gennaio 2015 -
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