Un Churchill così non
l’avevo mai visto, né
immaginato. Non che l’abbia conosciuto o incontrato di persona. L’ho intravisto
soltanto di sfuggita, una volta, da lontano, alla fine dei Cinquanta, non tanto
prima dell’anno (1965) in cui morì più che novantenne. Era sul ponete di uno
yacht, della famiglia Vanderbilt, ancorato a Antibes. Passai veloce a pochi
metri, a bordo di una ben più modesta imbarcazione, e mi sembrò di vedere
un’immagine antica. La sagoma, la faccia, il sigaro mi erano talmente
familiari, come a tanti altri milioni di coetanei, che lo riconobbi subito. Era
e resta uno dei personaggi più popolari del nostro tempo, Ci è stato proposto
in mille modi. E di istinto collocandolo nella Storia, lo vediamo come una
figura con grande forza di carattere, coraggio, ironia, genialità. In più di
sessant’anni di attività (politica, guerra, giornalismo, scrittore con Premio Nobel)
ha contribuito al destino del mondo. L’ha anche a volte determinato. In
particolare quello europeo. Questa premessa è per molti lettori superflua. Ma
ci porta al film (non ancora uscito in Italia) del regista australiano Jonathan
Teplitzky che gli è dedicato e che ha come titolo il suo nome, “Churchill”. Già
il nome asciutto annuncia il carattere intimo dello spettacolo. Ed è ovvio.
Dopo tanti chilometri di pellicola dedicati alla Seconda guerra mondiale il
cinema abbandona ogni tanto le grandi epopee e punta l’obiettivo sui
personaggi, lasciando il conflitto sullo sfondo. E del personaggio scelto,
quando si tratta di un monumento come Winston Churchill, è meglio che
l’attenzione si limiti a un episodio. È sufficiente. Jonathan Teplitzky e lo
sceneggiatore Alex von Tunzelmann non sono stati modesti. Hanno scelto lo
sbarco in Normandia, e hanno raccontato le ore precedenti a quell’avvenimento
decisivo del 6 giugno 1944. Nessuna battaglia, niente schieramenti di truppe,
ma al centro dello schermo sempre il personaggio Churchill, il primo ministro
britannico tormentato dagli interrogativi sulla necessità dell’operazione
rischiosa. Il cui costo umano poteva essere enorme. E forse vano. Lo scozzese Brian Cox interpreta un Churchill decrepito (nella realtà vivrà ancora più di
vent’anni), collerico, alcolizzato, indeciso, truculento, testardo. Un
Churchill così non l’avevo appunto mai immaginato. Dalla sua biografia
aggiornata risulta che non fu soltanto un leader politico ideale. Quando era un
liberale fu il promotore di leggi sociali avanzate, e quando era un
conservatore fu un primo ministro inflessibile durante il Blitz di Londra. La
sua resistenza isolata, nell’attesa di russi e americani, ha poi consentito di
sconfiggere Hitler. Allora la grande porta della Storia gli si è spalancata
davanti. Ma in altri momenti della vita politica assunse anche atteggiamenti
razzisti (detestava Gandhi) e si addossò pesanti responsabilità quando negò gli
aiuti indispensabili al Bengala durante la carestia del 1942, che fece tre
milioni di morti. È stato insomma un gigante politico non privo di ombre. La
sua fu una lunga vita. Ma il Churchill creato da Jonathan Teplitzky e
interpretato Brian Cox sfiora il grottesco. Sullo schermo si muove un anziano
signore nevrotico che insegue un sigaro. Brian Cox interpreta il ruolo di un
uomo angosciato che nessuno più ascolta. La moglie Clementine gli toglie la
parola, lo trattano male; per non parlare del genero, l’americano Eisenhower e
il britannico Montgomery, che non gli danno retta quando mette in dubbio
l’opportunità dello sbarco. Lo ascoltano come se fosse un settantenne fuori
servizio. Eppure dal non esaltante film che mostra un Churchill improbabile,
lontano da quello rimasto nelle nostre memorie, affiora una situazione
interessante. Vediamo un primo ministro ansioso di avere gli americani al suo
fianco in una guerra che non può vincere da solo, ma che sentendosi poi
all’ombra della loro potenza cerca invano di imporsi agli alleati
indispensabili e invadenti. Nel dramma del Churchill di Jonathan Teplitzky c’è
il vecchio impero britannico che tramonta e l’impero degli amici americani che
trionfa. La Storia si aggiornava. Fu una
fortuna per l’Europa. Un presidente illuminato, quale era Roosevelt, ha potuto
salvare il mondo con lo scomodo Churchill, complice e concorrente. Un esempio
cui potrebbero ispirarsi i successori nell’America d’oggi, in difficoltà con i
naturali alleati, sia pure in tempi assai meno drammatici.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 11 giugno 2017
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