“Tabù (Considerati
Sgarbati). Le
conversazioni su dettagli familiari intimi, il salario, le opinioni religiose,
la Chiesa cattolica. Domande o battute sulla mafia o altre organizzazioni
criminali; scherzi sulla corruzione, l’inefficienza. Dai miei viaggi in terre
lontane riporto sempre qualche piccola sorpresa, qualche scoperta culturale. A
volte scribacchio appunti sul taccuino Moleshine, altre volte mando email a me
stesso come promemoria, o segno parole in codice sull’agendina iPhone. Gli
appunti risalgono alla superficie disfacendo una valigia stipata alla rinfusa
dopo settimane di scali e decine di alberghi diversi. Così, molto tempo dopo il
mio viaggio al seguito di Trump (Riad-Gerusalemme-Vaticano-Bruxelles-Taormina)
mi sono imbattuto in questo manuale per l’uso degli italiani. Lo aveva
distribuito alla delegazione americana l’ambasciata Usa di Via Venero. 24
pagine di consigli pratici. Volevate sapere come ci vedono gli americani? Ecco
qua. Il risultato è bonario, ingenuo, spesso obsoleto e perciò esilarante.
Scritto dipendente italiano dell’con lw migliori intenzioni possibili, forse
persino da qualche dipendente italiano dell’ambasciata Usa. Sembra la
descrizione fatta da un antropologo che visita l’Italia come certi esploratori
di fine ‘800 si addentravano fra le tribù della foresta amazzonica. “Strette di
mano frequenti, calorose e vigorose possono essere usuali negli incontri
sociali o d’affari. Gli italiani non esitano a salutare i conoscenti con un
abbraccio e un bacio su tutt’e due le guance” (Traduco: non denunciate per molestie
sessuali il primo che ci afferra per le spalle e procede a stamparvi i due
bacioni). “Non siate sorpresi se i vostri colleghi italiani vi stanno molto più
vicino di quanto si usi da noi, cercate di non provare disagio” (è vero, in
America vige una sorta di distanza di rispetto; anche nelle file lunghe e
noiose per imbarcarsi su un volo o per entrare in un museo, raramente il vicino
ti sfiora. Cerca di tenere i 20 cm di separazione. Eccezione: il metrò di New
York). “Se state correndo a un appuntamento, potreste incrociare italiani
impegnati per lavoro che passeggiano tranquillamente e si godono il tragitto
verso l’ufficio. Gli italiani vedono il lavoro come una fonte di reddito per
sopravvivere, a differenza di altri che vi sacrificano la vita. Non c’è senso
di urgenza nella o cultura italiana”. Qui scivoliamo verso lo stereotipo, la
caricatura. Noi ci godiamo la vita mentre gli americani se la rovinano in none
della produttività? Dipende, conosco italiani divorati dall’ambizione; o
costretti a lavorare a ritmi massacranti per non essere licenziati (vedi il
precariato giovanile); e conosco americani adepti del buddismo zen che si
godono le stock option in un vigneto agrobiologico della Napa Vally
californiana. In fondo, questi luoghi comuni che l’ambasciata americana
consegna alle delegazioni diplomatiche sono innocui. Mi ricordano l’esperienza
di una recente retrospettiva su Marcello Mastroianni, organizzata da Sally
Fischer alla Lincoln Film Society di New York. Tra i film, I soliti Ignoti, di Monicelli. Era commovente vedere la sala piena
di newyorchesi di ogni età ed etnia, incluso un gruppo di giovanissime
afroamericane, che si sbellicavano di risate di fronte a quella comicità
agrodolce. Una storia di ladruncoli inetti, ma anche il ritratto di una povertà
antica, archetipi universali di simpaticissimo poveracci: macchiette che rubano
una sveglia, un posacenere, una carrozzina per neonati, un po' di pasta e ceci.
Con tanta autoironia, come nella scena finale in cui Gassman per sbaglio
“finisce in una fila di disoccupati avviati a lavorare peggio della galera.
Concludo con le istruzioni sulla pronuncia, a cura dell’ambasciata americana: ahr-ree-veh-dehr-chee!
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 10
giugno 2017
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