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domenica 18 giugno 2017

Lo Sapevate Che: L'Uomo è ancora irrisolto. E per certi versi, è meglio così...



Con La Mia Formazione scientifica vorrei ampliare la sua risposta alla lettrice che la interroga sulla fede. In sintesi, il nostro meraviglioso cervello è un “ammenicolo” (la definizione non è mia) assemblato dall’evoluzione in modo approssimativo, sfruttando part antichissime che condividiamo con molti altri animali, unite a parti più recenti, secondo il classico modus operandi dell’evoluzione, ovvero: quello che alla meno peggio funziona a uno scopo utile in un dato ambiente si può conservare, poi si vedrà come aggiustarlo nel tempo. Il risultato è che la nostra capacità di elaborazione è limitata, la memoria inaffidabile, la nostra emotività è incontrollabile, i nostri istinti associati alle nostre abilità tecniche devastanti, sia quando funzionali alla lotta intraspecie, che in tutti gli altri casi, con le distruzioni agòi animali e al nostro ambiente vitale. Risulta chiaro che noi uomini siamo ancora in mezzo al guado, né pesce, né carne, e ci dobbiamo tenere questo terribile accrocchio neurologico che pure ci ha donato la consapevolezza di esistere. Alla giraffa è stato allungato il collo, a noi ispessita la corteccia, ma sembra che alla giraffa, per tanti versi, sia andata meglio. Che fare delle nostre emozioni incontrollabili e dei nostri pensieri intrisi di deliri simbolici non ancora stemperati dall’evoluzione? Perché uno dei problemi è che siamo prima di tutto (ancora) animali “simbolici”, e non “sapiens”. All’interno di questo autoinganno primordiale che ci propina il teatrino della nostra mente c’è posto (neurologico) per spiegare tutto, dalla fede nei miracoli alle visioni dopo la morte, dall’idea del sacro di cui la lettera che citavamo prima, fino alla paura dei marziani, passando per l’illusione della danza della pioggia. E non c’è bisogno di nessuna spiegazione magica o religiosa, per chi vive con consapevolezza e conoscenza del mondo senza essere divorato dall’angoscia essenziale e dal dolore: il mondo reale, soprattutto per uno scienziato (non tecnico) è già magico.  A. Toschi

La Sua Lettera è molto bella e mi spiace doverla tagliare per ragioni di spazio. Lei sostiene, con le argomentazioni del tutto condivisibili da le addotte, che “l’uomo è un animale improvvisato che l’evoluzione non è ancora riuscita a perfezionare”. Io invece seguendo Arnold Gehlen (L’uomo, Feltrinelli), penso che l’uomo è un essere carente, non armonizzato con la natura, perché privo di istinti che sono risposte rigide a uno stimolo. Neppure il famosissimo istinto sessuale nell’uomo è un istinto, ma una semplice pulsione verso una meta indeterminata, che possiamo indirizzare verso qualsiasi forma di perversione (come erotizzare artistiche o poetiche. Proprio perché privo di istinti, l’uomo, a differenza degli animali, ha bisogno di molti anni di cura e soprattutto necessita di istruzioni come argini culturali che regolano la convivenza che negli animali è regolata dall’istinto. Proprio perché non è condizionato da istinti, l’uomo non è neppure vincolato a un ambiente, per cui, a differenza degli animali può vivere tanto al Polo nord che all’Equatore, Questa plasticità è il prodotto della sua indeterminatezza, e la sua presunta libertà, che tanto gli sta a cuore, non scende dal cielo, ma è a sua volta il frutto di una carenza istintuale. Stabilita questa differenza tra la sua e la mia interpretazione (che ci porta comunque alla stessa conclusione, secondo la quale l’uomo è un impasto mal riuscito di razionalità e di irrazionalità, con tutte le conseguenze che ne conseguono da lei perfettamente descritte in termini di distruzione dei propri simili e del proprio ambiente), io penso che in futuro non sono le conseguenze che derivano dall’irrazionalità dell’uomo (da cui dipendono non solo le credenze, le fedi, i miracoli, le visioni, le magie, gli auspici, ma anche i deliri d’amore, le fantasie suicide, le ossessioni che ci opprimono), ma quelle che deriveranno dal potenziamento della sua razionalità a cui lo conduce la tecnica che, per esempio, considera uno spreco tutte le parole che gli innamorati si scambiano, perché dal punto di vista della sua razionalità (raggiungere il massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi) basterebbe dire “ti amo”. Il resto è sovrabbondanza espressiva, profluvio di parole, spreco di tempo e di linguaggio, dove è più facile il fraintendimento che l’intendimento. Io vorrei che gli scienziati non si innamorassero troppo della loro razionalità, e gli umanisti della loro retorica, qui assunta in senso alto. La prima può degradare l’uomo al livello della macchina, la seconda può farlo volare in un mondo pieno di sogni che bruscamente e anche dolorosamente svaniscono quando si perde contatto con la realtà. Come vede, l’uomo è ancora irrisolto, Ma forse è meglio così.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 10 giugno 2017 -

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