Chi vuole capire l’origine del
linguaggio si guardi con attenzione le mani: è da lì che proviene la qualità
più importante dell’Homo sapiens.
Così scrive lo psicologo neuroscienziato neozelandese Michael C. Corballis in The Truth about Language: What It Is and
When It Came from (La verità sul linguaggio, cos’è e da dove proviene.
University of chicago), credono che il linguaggio sia emerso tutto d’un colpo,
non appena il cervello è diventato abbastanza grande da poter supportare una
funzione così avanzata. Io invece credo si sia evoluto in modo lento e
progressivo ci spiega Corballis. “Darwin scrisse: “Se si trovasse un organo che
non possa essersi formato attraverso numerose piccole modifiche successive,
tutta la mia teoria cadrebbe. Ma non esistono casi simili”. L’emergere del
linguaggio verbale in un passo solo è una chiara contraddizione della teoria
darwiniana. D’altra parte è sempre stato difficile spiegare perché solo l’uomo
ne sia dotato e gli altri primati non ne abbiamo versioni intermedie. Se invece
la gestualità è cruciale per il linguaggio, allora negli scimpanzé e bonobo
possiamo rintracciarne abbozzi”. Nel segno di Darwin. “Probabilmente il primo
linguaggio umano è stato una pantomima” continua Corballis. “I versi delle
scimmie sono tutt’altra cosa, soprattutto perché hanno un altro scopo. Sono
segnali d’allarme, di soddisfazione o di dolore non raccontato “storie”. Anche
noi abbiamo qualcosa di simile: ridiamo, piangiamo, gridiamo allarmati. Se invece
guardiamo a come i primati giocano o si spidocchiano, vediamo qualcosa di più
simile al nostro linguaggio perché è un’attività più variabile e più
internazionale. Questa teoria avrebbe anche una conferma neuroscientifica:”
L’area di Broca nel cervello umano è associata al linguaggio, mentre l’area
corrispondente nel cervello delle scimmie organizza i movimenti delle mani.
Quel sistema cerebrale in origine anche per noi controllava la gestualità, poi
si è adattato a gestire il linguaggio”. Per l’uomo primitivo il passaggio dal
rozzo esprimersi a gesti all’uso delle parole è stato un salto in avanti nella
capacità di formare alleanze strategiche e complottare ai danni dei rivali: “Si
è verificata una miniaturizzazione del linguaggio: all’inizio coinvolgeva tutto
il corpo, con le mani in primo piano, poi si è trasferito tutto nella nostra
bocca e nel cavo faringeo. Ciò ha “liberato” le mani dai compiti espressivi,
rendendole più disponibili per portare oggetti o usare strumenti. E siamo
passati da una forma d’espressione leggibile da tutti a un modo per
intrattenere conversazioni private. L’estrema differenziazione e proliferazione
delle lingue, che oggi sono più di 6.000, ha avuto la funzione strategica di
distinguere chi fa davvero parte della nostra tribù, e ha quindi più
probabilità di contraccambiare favori e servizi, rispetto agli estranei”.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica – 9
giugno 2017 -
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