Si parla Tanto di femminismo e parità dei sessi, ma io mi trovo all’età di 43 anni a
dubitare che questa parità possa esistere davvero. Sostenuta da una famiglia in
cui padre e madre hanno sempre avuto ruoli intercambiabili e paritari, pur
essendo donna ho vissuto sempre secondo quello che i miei valori e il mio
carattere mi avrebbero dettato, senza piegarmi, e ho considerato sopportabile
un giusto prezzo “da pagare per l’indipendenza. Finché non ho messo piede in
quell’età in cui “l’orologio biologico” ticchettata più velocemente e tutti
intorno a te si affrettano ad accoppiarsi o a riprodursi. E in un attimo gli
amici di una vita spariscono e ti ritrovi davanti a una decisione incombente da
cui sembra dipendere tutta la tua vita, la tua identità, il tuo futuro. Eppure
tra mille dubbi senti che per te quella strada non funziona, che hai ancora
molto da studiare, dare, fare e vedere, e che il tuo corpo intanto è
invecchiato e non si convince dell’idea del “puoi avere figli senza rinunciare
a niente” venduta dalla società della maternità romanticizzata e idealizzata.
Concludo che l’idea della parità è una chimera. Arriva un momento in cui
l’identità di una donna si arena davanti al bivio madre/non-madre. Qualunque
altra cosa tu faccia come donna o come persona, sbiadisce, viene sminuita. Se
non desideri essere madre, diventi una non-madre, prima di tutto. Non so perché
scrivo a lei, che è un uomo, ma nelle sue risposte e nei suoi libri leggo una
visione del mondo e delle cose che illumina ed evolve invece di
auto-ribadirsi. Virginia virginia@email.it
Alla Parità Tra maschi e femmine non si arriverà mai,
perché non essendo in grado di generare, i maschi capiscono del mondo femminile
unicamente quello che loro ritengono sia proprio della donna, e precisamente
ciò che per natura a loro non è concesso. Svincolati dai ritmi della natura, i
maschi, per occupare il tempo e non morire d’inedia nell’ozio, hanno inventato la
storia, e in questa storia hanno inserito la donna come generatrice, madre dei
loro figli, prostituta per le loro soddisfazioni sessuali e, a sentire
Lévi-Strauss, il più grande antropologo del ‘900, come merce di scambio nei
loro traffici. Un altro antropologo, Bronislaw Malinowski, riferisce che gli
abitanti delle numerose tribù da lui visitate ignoravano il ruolo maschile
nella generazione, e pur tuttavia, le donne da lui interrogate, rispondevano
che tutti i figli assomigliavano al padre, mentre la madre, generatrice
riconosciuta dai suoi figli, non ha con essi nessuna somiglianza. La coppia
parentale, “paritetica” nella riproduzione sessuale, diventa “gerarchica” nella
rappresentazione sociale. A questo schema non sfugge neppure Aristotele per il
quale, “la femmina offre la materia e il maschio la forma”, e neanche il mito
cristiano di Maria Vergine, che con il Dio che di sé dice: “Io e il Padre siamo
una sola cosa” (Gv. 10,30). (..). Ebbene, proprio nella differenza tra il corpo
dell’uomo e il corpo della donna si trova la prova inconfutabile del dominio
del primo sulla seconda, di cui sono convinti non solo gli uomini, ma anche le
donne che per secoli hanno trovato naturale il dominio esercitato su di loro da
parte dell’uomo. Com’è noto, infatti, il potere non sta tanto nell’esercizio
della sua forza, ma nel consenso del dominio alla propria subordinazione. È da
questo consenso, quello dei subordinati, che lei si deve liberare. E
liberandosi potrà persuadere la mente di qualche uomo e di qualche donna che la
donna non è solo materia per la generazione e i piaceri sessuali, ma al pari
dell’uomo può generare anche a un altro livello, quale può essere la
realizzazione di sé nel mondo lavorativo, in quello culturale, persino in
quello sessuale senza doversi ridurre alla pura e semplice opacità della
materia. E se sente sopra di sé la disapprovazione di molti tra quanti gli
stanno intorno, sappia che dobbiamo fare a meno di mezzo mondo per poter
generare il nostro mondo, che non è deciso dalla sola biologia al servizio
della specie, perché la specie, come sappiamo, è interessata agli individui
unicamente per la sua sopravvivenza. E dopo che hanno generato, nella sua
crudeltà innocente, li destina alla morte, perché altri individui, nascendo e
generando, le assicurino la sua vita.
Umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di la Repubblica – 17 giugno
1917 -
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