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sabato 24 giugno 2017

Lo Sapevate Che: Quanto è atavica la mentalità maschile...



Si parla Tanto di femminismo e parità dei sessi, ma io mi trovo all’età di 43 anni a dubitare che questa parità possa esistere davvero. Sostenuta da una famiglia in cui padre e madre hanno sempre avuto ruoli intercambiabili e paritari, pur essendo donna ho vissuto sempre secondo quello che i miei valori e il mio carattere mi avrebbero dettato, senza piegarmi, e ho considerato sopportabile un giusto prezzo “da pagare per l’indipendenza. Finché non ho messo piede in quell’età in cui “l’orologio biologico” ticchettata più velocemente e tutti intorno a te si affrettano ad accoppiarsi o a riprodursi. E in un attimo gli amici di una vita spariscono e ti ritrovi davanti a una decisione incombente da cui sembra dipendere tutta la tua vita, la tua identità, il tuo futuro. Eppure tra mille dubbi senti che per te quella strada non funziona, che hai ancora molto da studiare, dare, fare e vedere, e che il tuo corpo intanto è invecchiato e non si convince dell’idea del “puoi avere figli senza rinunciare a niente” venduta dalla società della maternità romanticizzata e idealizzata. Concludo che l’idea della parità è una chimera. Arriva un momento in cui l’identità di una donna si arena davanti al bivio madre/non-madre. Qualunque altra cosa tu faccia come donna o come persona, sbiadisce, viene sminuita. Se non desideri essere madre, diventi una non-madre, prima di tutto. Non so perché scrivo a lei, che è un uomo, ma nelle sue risposte e nei suoi libri leggo una visione del mondo e delle cose che illumina ed evolve invece di auto-ribadirsi.   Virginia  virginia@email.it
Alla Parità Tra maschi e femmine non si arriverà mai, perché non essendo in grado di generare, i maschi capiscono del mondo femminile unicamente quello che loro ritengono sia proprio della donna, e precisamente ciò che per natura a loro non è concesso. Svincolati dai ritmi della natura, i maschi, per occupare il tempo e non morire d’inedia nell’ozio, hanno inventato la storia, e in questa storia hanno inserito la donna come generatrice, madre dei loro figli, prostituta per le loro soddisfazioni sessuali e, a sentire Lévi-Strauss, il più grande antropologo del ‘900, come merce di scambio nei loro traffici. Un altro antropologo, Bronislaw Malinowski, riferisce che gli abitanti delle numerose tribù da lui visitate ignoravano il ruolo maschile nella generazione, e pur tuttavia, le donne da lui interrogate, rispondevano che tutti i figli assomigliavano al padre, mentre la madre, generatrice riconosciuta dai suoi figli, non ha con essi nessuna somiglianza. La coppia parentale, “paritetica” nella riproduzione sessuale, diventa “gerarchica” nella rappresentazione sociale. A questo schema non sfugge neppure Aristotele per il quale, “la femmina offre la materia e il maschio la forma”, e neanche il mito cristiano di Maria Vergine, che con il Dio che di sé dice: “Io e il Padre siamo una sola cosa” (Gv. 10,30). (..). Ebbene, proprio nella differenza tra il corpo dell’uomo e il corpo della donna si trova la prova inconfutabile del dominio del primo sulla seconda, di cui sono convinti non solo gli uomini, ma anche le donne che per secoli hanno trovato naturale il dominio esercitato su di loro da parte dell’uomo. Com’è noto, infatti, il potere non sta tanto nell’esercizio della sua forza, ma nel consenso del dominio alla propria subordinazione. È da questo consenso, quello dei subordinati, che lei si deve liberare. E liberandosi potrà persuadere la mente di qualche uomo e di qualche donna che la donna non è solo materia per la generazione e i piaceri sessuali, ma al pari dell’uomo può generare anche a un altro livello, quale può essere la realizzazione di sé nel mondo lavorativo, in quello culturale, persino in quello sessuale senza doversi ridurre alla pura e semplice opacità della materia. E se sente sopra di sé la disapprovazione di molti tra quanti gli stanno intorno, sappia che dobbiamo fare a meno di mezzo mondo per poter generare il nostro mondo, che non è deciso dalla sola biologia al servizio della specie, perché la specie, come sappiamo, è interessata agli individui unicamente per la sua sopravvivenza. E dopo che hanno generato, nella sua crudeltà innocente, li destina alla morte, perché altri individui, nascendo e generando, le assicurino la sua vita.
Umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di la Repubblica – 17 giugno 1917 -

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