Populista è sempre l’altro. È stato
così fin da principio, dal movimento ottocentesco russo che ha dato il nome a
una delle categorie più longeve e fortunate, almeno nell’uso comune, della
storia politica. Dostoevskij, che era stato convinto populista e per questo era
finito in Siberia, ha dedicato nei Demoni al suo amore giovanile una delle più
spietate satire della letteratura mondiale descrivendo un socialismo parolaio e
vittimista, incarnato nella vanesia figura dell’anziano poeta incompreso Stepan
Verchovenskij. Ai giorni nostri “populismo” è diventato un termine assai largo,
un’arma usata da un potere sempre più elitario per bollare ed escludere
qualunque forza antisistema, anche quelle che non hanno in comune nulla. Un po’
come i democristiani degli anni Cinquanta che dipingevano come blocco
estremista fascisti e antifascisti, i reduci di Salò e il Pci. Accusare chi non
la pensa come te d’essere populista è naturalmente indice di populismo. Ma
allora come si riconosce un populista? Alcuni tratti comuni del discorso
populista, in effetti, si possono rintracciare oltre i confini ideologici.
Populista è chi propone sempre soluzioni semplici a problemi complessi. Chi
promette assai più di quanto possa mantenere. Il terzo tratto comune dei
populisti è un assoluto disprezzo antintellettuale per la competenza e la
cultura. Donald Trump ripete di amare i poco istruiti (poorly educated), ampiamente ricambiato. Questi tre elementi si fondono infine nella
prima legge meccanica nota a ogni leader populista. Quando le tue promesse
falliscono e le soluzioni semplici elaborate insieme ai tuoi collaboratori poorly educated franano di fronte alla
complessività del reale, allora hai una sola via di uscita. Gridare al
complotto. Per quanto surreale possa apparire la macchinazione, questo
espediente ridicolo di rado svela al popolo la pochezza del populista. Al
contrario, di solito rafforza nei fedeli l’amore per l’eroico capo e l’odio per
i suoi vili ma potenti nemici. Esiste una narrazione populista che nel nostro
Paese ha funzionato sempre da Mussolini a Berlusconi e oltre. Ed è la favola
della Gande Proletaria che salpa alla conquista di un impero, una volta gettati
a mare i dubbi dei cacasotto intellettuali e le nenie jettatrici dei
professoroni pessimisti, sfida il mondo e lo vince contro ogni pronostico,
grazie all’impeto della volontà pura e alla forza di una maschia ignoranza.
Nulla d’altro ha prodotto altrettanti dolori al nostro Paese. Eppure molti
italiani sono alla continua ricerca di nuovi narratori di questa idiozia, di
destra, di sinistra o “né” di destra né di sinistra”. Il populismo si è ormai
mangiato tutto il discorso pubblico.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 27
gennaio 2017
Nessun commento:
Posta un commento