Se la foresta di Bialowieza –
novecento chilometri quadrati di bosco fra Polonia e Belorussia – potesse
parlare, racconterebbe di un passato con sovrani a caccia, cavalli al galoppo e
levrieri al seguito. Ora invece tra i suoi sentieri risuona spesso lo
sferragliare di camion che trasportano tronchi spezzati. L’inverno,
l’opposizione degli ecologisti e l’attenzione mediatica hanno bloccato per il
momento le motoseghe, ma di certo non la fame di legna del continente. Secondo
l’ultimo rapporto Eurostat, la produzione dafonti rinnovabili dell’Unione
Europea è cresciuta del174 per cento negli ultimi quindici anni. Ma a ben
guardare il 63,1 per cento di questo totale è composto da biomasse solide:
legna da ardere per il riscaldamento domestico, come il pellet per le stufe,
oppure residui di tronchi e rami, che ridotti in scaglie diventano “cippato” e
vanno così ad alimentare le grandi centrali a biomassa. Le bioenergie sono
considerate una fonte rinnovabile a tutti gli effetti: la definizione della Ue
si basa infatti sul principio del saldo zero di carbonio, e la combustione del
legno viene compensata dal CO2 fissato dalla
pianta durante la sua vita. Il bilancio è quindi considerato in pareggio, a
differenza di quello che avviene nei combustibili fossili, le cui emissioni
rimangono a lungo in atmosfera. Ecco spiegati i forti incentivi promessi dalla
Commissione europea che, in pochi anni, hanno generato un mercato fiorente. La
materia prima arriva prevalentemente dall’Est Europa, Russia in tesa, oppure
dai grandi boschi del Sud degli Stati Uniti, per esempio quelli della
Louisiana. O ancora, dalle foreste vergini indonesiane, dove il taglio di
alberi avviene per fare posto a piantagioni intensive come quelle di olio di
palma. Secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista Science Advances, le aree forestali infatti, cioè quelle in cui
l’impatto dell’uomo è rimasto minimo, sono globalmente diminuite tra il 2000 e
il 2013 del 7,2 per cento, con una perdita complessiva di 920 mila chilometri
quadrati d’intera superficie della Nigeria). Nel suo The Black Book of Bioenergy (Il libro nero delle bioenergie) la BirdLife
International, organizzazione non governativa con sede centrale a Bruxelles e
due milioni di sostenitori nel mondo, raccoglie diversi casi che riguardano
l’Europa. Quello dello Slovacchia, per esempio, dove l’uso del legno è
cresciuto del 70 per cento dal 2005, arrivando a rappresentare la principale
fonte di energie rinnovabili. Con tagli che non risparmiano aree protette come
la Poloniny National Park: In Finlandia, dice sempre Birdlife, le pratiche di
taglio puntano non solo al fusto delle piante, ma anche ai ceppi. E questa è
una pratica che determina un grave impoverimento del suolo e della
biodiversità, perché ceppi e tronchi morti rappresentano una fonte di
nutrimento per il terreno e, di conseguenza, per gli animali che lì vivono. P
in Europa è il chiaro scopo per cui, nel 1992. Proteggere con le foreste anche
la biodiversità in Europa è il chiaro scopo per cu, nel 1992, è stata istituita
la rete Natura 2000. “Con questa iniziativa l’Unione prevedeva per legge un
insieme di zone di protezione e conservazione speciale” spiega Ariel Brunner,
esperto per le politiche europee di Birdlife International. “Il problema è che
questo scudo copre circa la metà delle superfici boschive, ma la gestione dei
siti è demandata ai singoli Paesi”. Un buono strumento sulla carta, insomma,
che però non vieta totalmente i tagli “e che può essere facilmente aggirato in
vari modi” dice Brunner. Il caso più eclatante riguarda proprio l’area
forestale di Bialowieza, che ospita un complesso ecosistema di alberi antichi,
insetti, uccelli e mammiferi, compreso il bisonte europeo. Il governo polacco
ha formalizzato nel maggio scorso un piano di taglio decennale che dvrebbe
comprendere 180 mila metri quadrati di foresta. Il motivo, ha dichiarato il
Ministero dell’ambiete, è fermare l’invasione di un insetto infestante, il
coleottero degli abeti rossi, che causa l’essicamento delle piante e si propaga
con estrema velocità. Una vicenda che ha avuto risalto sui media, in cui a
schierarsi accanto alle associazioni locali e non governative sono state anche
diverse voci del mondo accademico, con articoli sulla rivista Nature. (..). In altre zone il taglio,
invece, c’è già stato, e in modo del tutto illegale. Diversi i casi segnalati,
specie nell’Est. L’ultimo in ordine di tempo riguarda le foreste dei Carpazi,
nel parco naturale Putna-Vrancea in Romania. Secondo un’inchiesta della ong
internazionale Eia (Environmental Investigation Agency) la più grande azienda
di lavorazione del legno austriaca, la Holzindustrie Schweighofer, continua a
comprare materiale che proviene proprio da qui, cioè da una zona unica per
l’ecologia dell’intera area balcanica. “Le pratiche con cui è stato ottenuto
questo legname sono illegali e insostenibili” dice l’Eia e “Schweighofer sta
ancora traendo profitto dalla distruzione di alcune preziose foreste rumene”.
(..). Tra le pratiche che danneggiano le foreste rumene c’è il falso thinning (l’abbattimento selettivo di
alcune piante usato come pretesto per tagliare invece a raso), registrato in
tutto l’ultimo decennio. E tra i motivi che hanno condotto a questa situazione
in Romania, l’Eia parla esplicitamente della mancanza di fondi per applicare le
direttive ambientali, unita a una corruzione locale “pervasiva”. Detto tutto
questo, un dato positivo sembra esserci: la superficie boschiva europea risulta
complessivamente in aumento. Purtroppo però l’aumento è dovuto soprattutto ai
Paesi con estese superfici montane, come il nostro. “L’Italia ha di fatto raddoppiato
i suoi terreni boschivi negli ultimi cinquant’anni” spiega Davide Pettenella,
docente del Dipartimento territorio e sistemi agroforestali dell’Università di
Padova, “ma il 70 per cento del territorio è in aree montane e collinari, dove
l’agricoltura, che nei secoli passati aveva conquistato molti terreni, è in
diminuzione e lascia spazio alla crescita spontanea del bosco”- (..). Che fare
dunque? E’ veramente possibile coniugare la domanda di legno in crescita con la
cura delle aree forestali, tanto più se antiche e protette? A puntare su un
prelievo sostenibile sono alcuni consorzi, come il Forest Stewardship Council.
Questo rilascia le sue certificazioni a tutte le imprese coinvolte nel
commercio di carta e legno che vogliano dimostrare la provenienza della materia
da loro utilizzata e una gestione forestale responsabile. Per ottenere la
certificazione devono essere valutate tutte le modalità con cui è gestita
l’area forestale: dalle prime fasi di pianificazione degli interventi alle fasi
operative in campo, fino all’abbattimento e all’estrazione del legname”. Forse,
se Bialowieza potesse veramente parlare, il messaggio suonerebbe chiaro: un
albero non vale un altro. E capirlo può essere conveniente per tutti.
Anna Romano e Alessandro Vitale – Scienze – Il Venerdì di
Repubblica – 3 febbraio 2017
Nessun commento:
Posta un commento