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venerdì 3 febbraio 2017

Lo Sapevate Che: Vietato condannare l'indifferenza dei nostri ragazzi...



Lei Lascia Sempre che i giovani si piangano addosso lamentandosi che non riescono a fare quello che vorrebbero. Sappiamo tutti che la vita non è facile. È sempre stato così anche per chi nel passato ha dovuto fare tante rinunce perché più povero, meno sopportato dai genitori. Forse ci adattavamo meglio, forse sapevamo soffrire, forse eravamo più tenaci. Basta con i piagnistei! Si creino il loro mondo vero e non quello fasullo sognato sdraiati sul letto e con la cuffia stordente. Basta con i giovani lamentosi ai quali il mondo attuale apre spazi che le generazioni passate potevano solo sognarsi. Questi cittadini del mondo, amanti delle comodità, dei super master e degli Eramus, degli anni sabbatici passati a viaggiare intorno al mondo per “conoscerlo”, delle auto sportive e dei raduni rave (non tutti fortunatamente), delle droghe e delle discoteche, dovrebbero finalmente darsi una mossa concreta e positiva.      gf.mola@liberi.it

Prima Di Accusare i giovani d’indolenza, mancanza di sacrificio e incapacità di promuoversi in qualsiasi attività lavorativa, anche se non necessariamente connessa con la tipologia dei loro studi, i vecchi, come penso sia lei dalla qualità del suo impietoso j’accuse, dovrebbero rendersi conto che forse i giovani sono come lei li descrive per effetto del mondo in cui sono nati e cresciuti. Un mondo che noi vecchi, e più siamo vecchi più siamo responsabili, abbiamo creato per loro. Nessuno di noi è individualmente responsabile, se non per il fatto di aver lasciato avanzare, senza contrastarla, una cultura che non ci percepisce più come “persone, ma come semplici produttori e consumatori, quindi come funzionari delle merci, dalla cui circolazione si alimenta, come per noi un tempo, anche l’odierna economia. Con una differenza radicale, che consiste nel fatto che l’economia dei nostri tempi concepiva il denaro come un “mezzo” per soddisfare bisogni e produrre beni, oggi invece l’odierna economia lo concepisce, in modo perverso, come un “fine”, per realizzare il quale, si vedrà se soddisfare i bisogni e in che misura produrre i beni. Questo capovolgimento, che ha messo da pare l’uomo e i suoi bisogni e i beni necessari per soddisfarli, per privilegiare dell’uomo unicamente le sue prestazioni, purché siano funzionali alla produzione del denaro, ha determinato la miseria estrema dei disperati della Terra che abitano un’Africa la cui ricchezza non è nelle loro mani, la schiavitù nei Paesi più poveri e più ricchi dell’Asia, e infine l’espansione della povertà qui da noi…(..) Qui subentra il tratto nichilista tipico della nostra economia, per la quale il consumo dei prodotti non coincide tanto con la loro fine ma è il loro fine. Le cose vanno condotte alla loro fine nel modo più rapido possibile, per cui la data di scadenza non l’hanno solo gli alimentari, ma anche le automobili, i frigoriferi, i televisori, per non parlare dei telefonini e dei computer. (..) Come chiamiamo una cultura che si rege sul consumatore e riduce al nulla nel tempo più rapido possibile tutte le cose: lo chiamiamo nichilista. E non vedo perché i giovani dovrebbero essere entusiasti di vivere in una simile stagione della storia. E per giunta senza speranza, per due ragioni: innanzitutto perché gli abbiamo fatto vedere solo questa, come se non ci fossero altri mondi possibili, in secondo luogo perché in effetti non ce ne sono davvero dal momento che, con la globalizzazione, il mercato ha sottoposto a sé sia i “servi” sia i “signori”, che non possono più contrapporsi come ai nostri tempi, ma devono allearsi per stare sul mercato, che ormai più nessuno contesta, come se fosse una legge di natura. Di qui l’invito agli anziani di non pensare che noi eravamo meglio dei giovani d’oggi, al contrario vivevamo in un mondo caratterizzato dai valori di efficienza, funzionalità, produttività come il mondo che abbiamo creato per loro, e che in loro non desta alcun entusiasmo. Semplicemente ci fa capire la ragione profonda del loro lamento, reso tragico dalla consapevolezza dell’impossibilità di modificare la loro situazione.
umbertogalimberti@repubblica.it -  Donna di Repubblica – 28 gennaio 2017 -

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