“Una neve così l’ha fatta solo nel’45,
impedì ai tedeschi di arrivare fin qui. <o perlomeno è quello che mi hanno
sempre raccontato. Io avevo cinque anni”. A Colledara, provincia di Teramo, ci
si ostina a pensare alla neve, compagna di una vita, in termini positivi.
Intorno a noi, nel mentre, continua a pioviccicare sui due metri di bianco che
in quasi tutta la provincia hanno sepolto e bloccato la vita per giorni,
eccezion fatta per la scossa di terremoto che ha smosso tutto all’improvviso,
per l’ennesima volta. Montagne, terra, neve, case, persone, animali, cuori,
teste, tutto rischia di venire giù. “Io non ho paura della neve” mi dice un
anziano, con la pala in mano, mentre arranco in salita. “Ho paura di
quell’altra cosa” continua con un filo di voce, fissando il vuoto e i ricordi
dell’ultima scossa. Qui, tra Vico e Forca di Valle, frazione isolate (senza
strade percorribili, senza luce, senza telefono, senza carburante, senza
riscaldamento), si arriva solo a piedi o con i “bruchi” dell’esercito, che
fanno quel che possono per liberare persone o portare viveri e carburante utile
per i pochi gruppi elettrogeni sparsi sul pendio. “Se ne sono andati quasi
tutti, sono rimaste una ventina di famiglie, i più tosti” raccontano quelli restati
a presidio del paese, nell’ultimo bar. “Qui c’è la piazzetta” mi dice un
signore prima di offrirmi una Sambuca tenuta in fresco nella neve. Ma la
piazzetta la devi immaginare. La neve smussa tutto, livella ogni dosso, rende uguali
case e chiese, tutte comunque vuote, silenti, spettrali. “Ieri il Soccorso
alpino è arrivato in una frazione di Montorio al Vomano raggiungibile solo con
le motoslitte: gli abitanti del posto li hanno aggrediti cercando di prendere
loro il carburante dei mezzi perché non ne avevano più per riscaldarsi”
racconta un volontario della Croce Bianca. Gli aneddoti, come le ore che vivo,
sono quelli di guerra. Una ragazza mi mostra il centro di Montorio, ottomila
abitanti. Tutta “zona rossa” dal terremoto di ottobre. Un’altra mi porta
davanti a casa sua, a Ornano Grande, l’unica abitabile di un agglomerato di
abitazioni inagibili e pertanto inabitate dal terremoto del 2009. A tarda sera
raggiungo un ragazzo di Rosara, frazione di Ascoli Piceno, senza luce da giorni.
Di cento persone circa che qui abitavano ne sono rimaste una ventina. Un gruppo
elettrogeno gli ha portato la luce due ore fa. Suo fratello, dopo una
settimana, ci è potuto fare la doccia. A pochi chilometri da Roma, nel cuore
dell’Italia del 2017, in questi giorni si vive così. O si va via.
Diego Bianchi – Il Sogno Di Zoro – Il Venerdì di Repubblica –
3 febbraio 2017 -
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