Soldi. Da qualche tempo
non riesco a
scrivere, pensare o anche solo leggere di qualcosa che non siano i soldi.
Nessuno di noi ci riesce, perché l’India è nel pieno di una crisi seria da
questo punto di vista. A novembre siamo rimasti tutti in fila per giorni
davanti agli sportelli delle banche, ai bancomat, agli uffici postali e alle
pompe di benzina per scambiare banconote da 500 e 1000 rupie che dall’oggi al
domani sono state dichiarate obsolete. La transizione non è stata indolore: 55
persone sono decedute per l’ansia; alcuni bambini sono morti perché gli
ospedali privati non accettavano le vecchie banconote; donne che nascondevano i
soldi ai mariti violenti o alcolisti sono state costrette a confessare i loro risparmi.
Il Governo ha preso questa decisione per costringere la gente a consegnare il
denaro “nero”, non tassato, che ritiene sia ammassato in banconote di grosso
taglio. L’ha fatto senza preavviso. La cosa più strana è che ha introdotto una
banconota da 2000 rupie! Se le banconote da 1000 rupie favoriscono la
corruzione, quale vantaggio porterà un biglietto da 2000 rupie? Almeno il 70%
degli indiani lavora in nero, e la maggior parte non riceve neppure un salario
regolare. Se per un mese non trovano lavoro, fanno la fame. Il 90% di tutte le
transizioni avviene in contanti: i contadini per pagare i semi e assumere
braccianti; i trasportatori per comprare cibo e carburante. Io vivo nella più
grande città dell’India, ma il mio alimentari di quartiere non prende le carte
di credito. Il lattaio, il netturbino, il falegname, il guidatore di risciò,
tutti devono essere pagati in contanti. Questo pasticcio viene chiamato
“demonizzazione”, o congelamento della moneta. La faccenda è tanto più
incasinata se consideriamo che l’86% della nostra moneta circolante consisteva
in banconote da 500 e 1000 rupie. Senza queste banconote “di grosso taglio”, si
bloccava quasi tutto. Per comprare frutta, verdura pane, latte e dell’olio per
una famiglia di quattro persone servivano ogni giorno 500 rupie. Per dare
un’idea, un chilo di mele costa 150 rupie. Qui in India centinaia di milioni di
persone vivono con meno dell’equivalente di un euro al giorno. La maggior parte
della gente non ha carte di credito, Sui social media girano messaggi che
chiedono alla borghesia di comprare cibo e altri prodotti di uso quotidiano dai
venditori ambulanti, che hanno un disperato bisogno di contanti, invece di fare
la spesa nei grandi supermercati o ei centri commerciali. Pare anche che molti
commercianti e venditori ambulanti locali permettano ai loro clienti di classe
media di portardi via beni e servizi a credito, senza chiedere cambiali o
pagherò di alcun tipo. Negli ultimi mesi mi è sembrato di stare di nuovo negli
anni ’80. L’India in cui sono cresciuta era anche piena di code e penuria di
merci. Le code erano la cosa di cui le classi medie si lamentavano più spesso,
il fattore che confermava il nostro status di Pace del terzo mondo. Stavamo in
coda per comprare i biglietti del treno, per avere un documento, per iscriversi
a scuola e all’università, per prendere l’acqua dai rubinetti di quartiere, per
usare il gabinetto o farci un bagno, per comprare frumento e riso nei negozi
statali a prezzo calmierato, per una visita medica, per pagare le bollette del
gas e dell’elettricità, persino per venerare gli dei nei templi più
frequentati. Naturalmente facevamo la fila anche nelle banche per ritirare
contanti. Presumo che tra qualche settimana le cose torneranno alla normalità,
una volta che le nuove banconote saranno entrate davvero in circolazione. Ma
gli indiani hanno pagato un prezzo troppo alto per tutta questa operazione. (traduzione di fabio Galimberti)
Annie Zaidi – Opinioni – Donna di Repubblica – 28 gennaio
2017
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