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martedì 21 febbraio 2017

Lo Sapevate Che: Michele, morto suicida a trent'anni cosa ci dicono le reazioni alla sua lettera...



La lettera di addio di Michele, il trentenne friulano che si è ucciso poche settimane fa, ha toccato moltissime persone che ne hanno discusso sulla rete. Era una bella lettera di un giovane che aveva molto da dire e ha trovato ascolto soltanto da morto. Qualcuno si è sentito autorizzato a giudicarne il gesto, altri non hanno queste certezze. Per quanto mi riguarda, ho pensato a un verso di Mario, cantato da Jannacci: “Dov’è che si cambia sparandosi un colpo qui, in testa? Lascia fare alla vita questa sporca fatica, siamo feriti quanto basta”. Ma se i sentimenti dei morti non possiamo conoscerli, le reazioni dei vivi debbono far riflettere. Esiste un tratto comune fra i molti giovani che commentano la storia di Michele ed è la convinzione che non si possa cambiare, comune intendo sia a chi pretende di eleggere Michele a simbolo ed eroe dei dimenticati, sia a coloro che pur comprendendo il dramma umano, prendono le distanze da quella che considerano comunque una cultura del vittimismo. Insomma questi poveri giovani precari, gli esclusi e gli sconfitti in realtà potrebbero e dovrebbero continuare a provarci, perché alla fine se hai la forza di andare avanti e superare la dose d’ingiustizia e umiliazioni che tocca a tutti, puoi sempre farcela. Così funziona da sempre il mondo e la nostra epoca non è peggiore di altre. Queste due reazioni su un gesto disperato riflettono anche gli atteggiamenti prevalenti di fronte ai problemi più generali. Da una parte una ribellione che si esaurisce nel risentimento e nello sfogo, senza reale convinzione di poter cambiare il mondo. Dall’altra un tiepido consenso allo status quo, nella convinzione che i grandi processi in atto – la globalizzazione, la concentrazione di ricchezza, la crescita della povertà, della precarietà e della disoccupazione – non siano fenomeni recenti e reversibili, ma una specie di naturale corso della storia, opporsi al quale risulta utopistico o anche pericoloso. Proporre per esempio il rilancio dell’istruzione pubblica o la riduzione degli orari di lavoro, in una società dove la mobilità sociale è crollata e la disoccupazione giovanile è spaventosa, sono considerate utopie o nostalgie da vecchia sinistra, che avrebbero effetti economici catastrofici. Ma per un secolo e mezzo gli orari di lavoro sono stati ridotti, fino a una trentina d’anni fa, e non c’era stata alcuna catastrofe, anzi. Indifferente al sentimento e pago di un consenso della paura, il sistema procede e a ogni curva lascia a terra nuovi sconfitti. E sono sempre gli stessi ad avere fortuna.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 17 febbraio 2017

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