Pechino. Quando, il mese scorso, il premier
canadese Justin Trudeau è finito nel
mirino dell’opposizione, degli esperti di sicurezza e perfino dell’ex capo
delle sue spie per la trattativa con la Cina su una preziosa compagnia hi-tech,
a Pechino più di qualcuno avrà brindato alla salute di due compagni
insospettabili. Er Shun e Da Mao. Er Shun, che vuol dire doppia tenerezza, e Da
Mao, che significa invece il primo dei Mao, non sono – come quei nomi che
sembrano in codice potrebbero far sospettare – due scafatissimi agenti segreti.
Sono invece due tenerissimi panda, sbarcati quattro anni fa dalla Cina in Nord
America. Lassù si sono trovati così bene da superare quel problemino col sesso
per cui la specie, non per niente a rischio estinzione, è universalmente nota,
figliando dunque altri due tenerissimi panda, Jia Panpan e Jia YueYue: cioè
speranza e gioia canadese. “Il panda è simbolo di pace e amicizia” ha detto il
bel Trudeau al battesimo nello Zoo di Toronto “e della relazione sempre più
stretta che il Canada ha con la Cina”. Stretta anche troppo, se è vero che il
Canada sarebbe adesso pronto a disfarsi di quella ITF Technologies che
regalerebbe a Pechino un’avanzatissima tecnologia militare. Ah, il potere della
Panda Diplomacy. Chiariamo: nessuno s’è mai sognato di sostenere il rapporto di
causa e effetto trai simpatici animaloni e la trattativa sulla vendita hi-tech
svelata dal Globe and Mail. Però è innegabile che a furia di doni, anzi di
prestiti, visto che secondo le nuove direttive i panda devono ritornare in
patria dopo dieci anni, il Dragone è riuscito a tessere nell’ultimo mezzo
secolo una rete di relazioni eccezionali. Perché è vero, come ha ricostruito
qualche anno fa Mark Magnier, reporter giramondo, che la tradizione di regolare
xiongmao, che in cinese vuol dire orso-gatto, è antica. Risale addirittura alla
principessa Wu Zetian, dinastia dei Tang, settimo secolo dopo Cristo, che spedì
il primo panda oltre Muraglia per ringraziare l’imperatore del Giappone. Ma la
svolta vera ha due date a noi molto più vicine, e riguarda i rapporti non
facilissimi tra le più grandi potenze del nostro tempo Stati Uniti e Cina. E’
il 1941 quando Soong Mei-Ling, cioè la moglie di Chiang Kai-shek, il generalissimo
nazionalista che da lì a poco sarebbe stato confinato da Mao Zedong nell’isola
di Taiwan, ringrazia gli usa per l’aiuto ricevuto regalando due panda chiamati,
forse per non confondere troppo quei semplicioni degli americani, Pan Dah e Pan
Dee. Ed è il 1972 quando la Cina comunista riallaccia i rapporti con l’impero
capitalista regalando altri due panda all’America di Richard Nixon. Tocca a
un’altra first Lady, Pat, ricevere gli orsogattoni allo zoo di Washington,
pronunciando quella battuta entrata nella storia: “Penso che adesso qui
scoppierà un vero panda-monio”. Non solo lì: dal 1941 a oggi il South China Morning Post ha preso nota
di 64 panda mandati in giro per il mondo. Gli ultimi sono emigrati in Canada,
2023, e poi in Malesia, Corea del Sud e Belgio nel 2014, anno in cui s’è
cominciato a discutere anche del primo scambio con Israele. Ma la relazione più
complicata non poteva che essere con i cugini di Taiwan, l’isola che
ufficialmente si autodefinisce Repubblica e Pechino considera parte integrante
del territorio, secondo la politica di “una sola Cina” sviluppata proprio dagli
anni di Nixon e che Donald Trump sta mettendo pericolosamente in discussione.
“All’epoca della presidenza di Chen Shun – bian, 2007, Pechino offrì a Taiwan
due panda i cui nomi, messi insieme, significavano unione” ricorda June Teufel
Dreyer dell’Università di Miami. “Chen resistette, ma il nuovo presidente, Ma
Ying – jeou, l’anno dopo accettò: regalando un’altra vittoria diplomatica a
Pechino”. Tra i panda, ultimamente, s’è destreggiata anche Michelle Obama,
accompagnando Peng Liyuan, la moglie del presidente cinese Wi Jinping, in
visita a Bei Bei, l’attuale star dello zoo di Washington nonché il simbolo,
aveva giurato la consorte di Barack, dei “forti legami tra i nostri due
popoli”. Altri tempi, visti i ferri corti di oggi tra Cina e Usa. Ma non sarà
proprio per questo giunto il tempo di ri-correre alla éanda Diplomacy? Un bel
paio di pandoni per President Trump. “Chissà i nomi che i cinesi gli darebbero”
scherza Teufel Dreyer: “Sheng Sheng e Li Li, per esempio: che messi insieme
vogliono dire “vittoria”. Attenti ai cinesi, avrebbe detto il vecchio Virgilio,
anche quando portano doni.
Angelo Aquaro – Scienze – Il Venerdì di
Repubblica – 3 febbraio 2017
Nessun commento:
Posta un commento