Le 14 nomination per gli Oscar a La La
Land sono uno dei segni, forse più frivoli ma non per questo poco
significativi, del declino dell’impero americano. Il record che accosta il film
più sopravvalutato dal decennio a Eva
contro Eva e Titanic si può
spiegare soltanto con l’immensa nostalgia di Hollywood per lo splendore
perduto, la stessa nostalgia di grandezza che in maniera assai più allucinata e
preoccupante ha spinto milioni di elettori a eleggere con lo slogan “faremo di
nuovo grande l’America il Romolo Augustolo dell’impero americano, l’ineffabile
Donald Duck Trump. La La Land è un
film non brutto, ma neppure indimenticabile, che ne copia un’altra ventina con
garbo e senza guizzi, È l’eterna storia di una coppia di aspiranti star che il
successo separerà, un soggetto che dopo il meraviglioso New York, New York di
Scorsese sarebbe meglio non sfiorare. La sceneggiatura è piuttosto banale, con
qualche battuta divertente, e una serie di caratteri già visti, a cominciare
dalla ragazza venuta da un piccolo paesello della sterminata provincia americana
che arriva nella grande cittò a fare la barista, col sogno di recitare nel
cassetto. Poiché l’interprete è Emma Stone, lo spettatore dal primo fotogramma
ha la certezza che il sogno si realizzerà, sia pure dopo mille umiliazioni,
come in tutte le cento puntate precedenti. Un po' più contemporaneo è il
carattere maschile interpretato da Ryan Gosling, uno dei millenials ammaliati
dal vintage – nel suo caso l’età d’oro del jazz – ma questo pure copiato da
Midnight in Paris di Woody Allen. Si aggiunga che Stone e Gosling sono una
magnifica coppia di attori, già sperimentati in Crazy, Stupid Love, film minore ma superiore a La La Land per qualità dello humor, ma decisamente un po' goffo
nella danza e intonati ma flebili nel canto. La squadra di critici del NY
Times, spesso in disaccordo, ha deciso all’unanimità di non inserirlo in
nessuna delle classifiche dei 10 migliori film dell’anno. In definitiva è un
“né né di cassetta, non un grande musical, paragonato alle leggende che evoca,
non una bella storia d’amore e neppure una commedia brillante o un melodramma
sul successo, ma un astuto mix industriale di tutti questi generi senza dire
nulla di nuovo in alcuno. La nomination è appunto l’omaggio alla perduta
magnificenza del sogno americano. E tutti noi che l’America l’abbiamo amata e
odiata nella vita, ora abbiamo capito che semplicemente dovremo farne a meno.
Curzio Maltese – Contromano – Il Ven erdì di Repubblica – 10
febbraio 2017 -
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