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mercoledì 15 febbraio 2017

Lo Sapevate Che: In Mongolia le capre da cashmere fanno terra bruciata...



Solo qualche decina di anni fa le valli tra le montagne della Mongolia erano piene d’erba. Oggi i pascoli scarseggiano e non sono più verdi come una volta. La causa del problema che preoccupa i pastori è il motivo stesso della loro esistenza, il bestiame. Secondo i dati della Fao, nel 2915 la Mongolia ha raggiunto la cifra record di quasi 56 milioni di capi d’allevamento, troppi per uno sfruttamento sostenibile dei pascoli: secondo alcuni studi, la soglia dei capi da non oltrepassare è quaranta milioni. A provocare questa crescita vertiginosa nonostante soprattutto le capre domestiche (Capra hircus), che rappresentano il 42 per cento del bestiame mongolo e il cui numero è più che raddoppiato negli ultimi quindici anni. Alla base del successo di questi animali non ci sono né la loro carne né i loro latte, ma la peluria del sottomantello, chiamata duvet, che d’inverno li protegge dal freddo.  Da questo sottopelo, che nelle razze mongole è eccezionalmente morbido e folto a causa degli inverni rigidi, si ottiene il pregiato cashmere, un prodotto che muove ogni anno miliardi di dollari nel mondo. La Mongolia infatti è il secondo produttore del Pianeta (nel 2015 ha raggiunto le settemila tonnellate) e, assieme alla Cina, garantisce il 90 per cento della fornitura globale. “Non c’è dubbio che il mercato del cashmere sia la causa principale dell’aumento di numero delle capre in Mongolia” dice Maria E. Fernandez-Gimenez, ricercatrice alla Colorado State University, di recente decorata dal governo mongolo con l’Ordine della Stella Polare per il suo impegno nella salvaguardia dell’ambiente e delle tradizioni locali. “Per i pastori il cashmere si è rivelato molto più redditizio della carne, ecco perché le capre aumentano. In secondo luogo questi animali si riproducono più in fretta di altri più grandi, come buoi, cavalli o cammelli”. E, sebbene non esistano ancora studi specifici, le capre hanno tutte le caratteristiche per rappresentare un flagello per i pascoli: con gli zoccoli taglienti danneggiano il suolo più degli altri erbivori e, visto che strappano l’erba dalle radici, ne rendono più difficile la ricrescita in tempi brevi. La preoccupazione è che alla lunga la troppa pressione degli erbivori contribuisca a distruggere uno tra i più grandi ecosistemi di praterie del mondo. L’altro grande motivo di preoccupazione per la steppa della Mongolia è il suo cambiamento climatico. L’Unep (l’agenzia ambientale dell’Onu) ha dichiarato che in Mongolia le temperature medie annuali sono aumentate di 2,1°C negli ultimi settant’anni e che il 90 per cento del territorio è a rischio desertificazione: “Gran parte delle praterie si trova oggi in uno stato di degrado rispetto alle condizioni originali” dice Fernandez- Giménez. “Solo una piccola porzione, circa il 7 per cento, è considerata però irrimediabilmente compromessa. La fortuna dell’ecosistema mongolo è la sua resilienza, la capacità di recupero: se si riduce la pressione degli erbivori, la vegetazione può riprendere spontaneamente in soli tre-cinque anni. Ma se non ci sarà un drastico cambiamento nella gestione delle terre le trasformazioni ecologiche potrebbero diventare irreversibili. Pastori e autorità locali stanno così lavorando, con l’ausilio degli scienziati, per cercare soluzioni ed evitare ricadute economiche (il cashmere rappresenta il 40 per cento delle esportazioni non minerarie della Mongolia). Tra le proposte c’è quella di limitare le aree da pascolo, ridurre gli allevamenti e sostituire le capre con animali come yak e cammelli, da cui è possibile ottenere fibre tessili altrettanto pregiate. “Le organizzazioni” dice Fernandez – Giménez “ma, non illudiamoci, per un miglioramento dell’ecosistema servirà molto tempo.
Martina Saporiti – Animali – Il Venerdì di Repubblica – 10 febbraio 2017 -

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