Più Per Esorcismo che per convinzione si diceva: può
finire l’Europa. In fondo non lo si pensava. Ora che i barbari sono alle porte,
l’ipotesi assume le sembianze concrete di una signora bionda che ha ingentilito
i modi passando dal nero della sua eredità politica al “bleu”. Il “bleu Marine
Le Pen”, per autodefinizione. Così, in un’inversione di senso delle parole, il
governatore della Bee Mario Draghi proclama l’euro “irrevocabile” proprio
perché sente concreta la minaccia della revocabilità. E simbolicamente il
Continente rischia di andare in frantumi a 25 anni esatti da quella firma
storica del trattato di Maastricht (7 febbraio 1992). L’Europa può sopportare
la Brexit, reggere l’uscita dell’Olanda se Geert Wilders vincerà le elezioni di
marzo o dell’Ungheria se il suo padre-padrone Viktor Orbain deciderà lo
strappo. Ma certo non può fare a meno della Francia, Paese fondatore, con la
Germania polo dell’asse che l’ha retta per conciliazione e come risarcimento
dei lutti procurati simbolicamente dalla linea del fiume Reno. I destini comuni
sono dunque nelle mani della nazione più sciovinista, quella che bocciò per
referendum nel 2005, e di fatto affossandola, la Costituzione Europea in difesa
di una sempre rivendicata sovranità. Marine Le Pen, se a maggio approderà
all’Eliseo, vuole uscire dal comando unificato della Nato e poco spaventa: c’è
il precedente del generale de Gaulle che nel 1966 fece altrettanto. Soprattutto
vuole tornare al franco e lasciare Bruxelles. Se i mercati entrano in
fibrillazione e lo spread s’impenna è perché l’ipotesi non appartiene al
periodo ipotetico dell’irrealtà. E difficile, non impossibile. I suoi avversari
sembrano impegnati in una gara a perdere. L’ex temibile campione della destra
tradizionale, François Fillon, si è incartato nella poco edificante vicenda dei
fondi pubblici regalati a moglie e figli. Il socialisa Benoit Hamon non è detto
arrivi al ballottaggio, dovrà dividere i voti di sinistra col tributo Jean-Luc
Mélenchon. Il giovane Emmanuel Macron dovrà dimostrare che esiste un centro in
un Paese che non l’ha mai avuto perché fortemente bipolare per tradizione e
meccanismi istituzionali, mentre si trova a fronteggiare anche una strisciante
e vergognosa campagna sulle sue attitudini sessuali. Anche stavolta Parigi val
bene una messa. Non sappiamo se di de profundis o di resurrezione dell’Europa.
Gigi Riva – L’Espresso – 12 febbraio 2017
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