Se la finanza compra formaggi come se
fossero banche, albume d’uomo come se fosse oro e maiali come se fossero
appartamenti, allora vuol dire che il cibo non è più solo nutrimento. Ma
investimento. Commodity. Merce.
Prodotto senza origine e senza identità. Comprato e venduto come un titolo
azionario da multinazionali in grado di me mettere in ginocchio interi comparti
produttivi e di trasformare una nazione in un’immensa monocultura per
alimentare un mercato sempre più volubile e capriccioso. A raccontare questo scenario che ha qualcosa di apocalittico è il
giornalista e scrittore Stefano Liberti nel suo libro del I signori cibo, pubblicato di recente da Minimum Fax. Come dice
il sottotitolo si tratta di un viaggio nell’industria alimentare che sta
distruggendo il pianeta. Maiale, soia, tonno e pomodoro. Sono le quattro
filiere simbolo di questa finanziarizzazione dell’alimentazione, strettamente
legata a fenomeni come il land grabbing,
cui nel 2011 Liberti ha dedicato un libro importante: la desertificazione,
l’impoverimento dei contadini, l’esaurimento delle risorse idriche. Tutto ad
opera di quelle che l’autore definisce aziende locusta, che fanno viaggiare da
un continente all’altro cibi e persone per massimizzare i profitti a scapito di
qualità ed equità. Il risultato è che oggi mangiamo pomodori cinesi trasformati
in Africa con etichette apparentemente italiane, tonni pescati in Senegal e
lavorati in Spagna, maiali allevati in America e venduti dai cinesi. Un
pasticciaccio brutto sul quale questo libro aiuta a fare luce. Per non essere
compratori passivi ma consumatori critici.
Marino Niola – Miti D’Oggi – Il Venerdì di Repubblica – 17
febbraio 2017 -
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