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mercoledì 8 febbraio 2017

Lo Sapevate che: Così un secolo e mezzo fa Mendel scoprì i geni e nessuno gli diede retta...



Le rivoluzioni scientifiche in genere si affermano in modo tumultuoso, basti pensare a Galilei o Darwin. L’altrettanto rivoluzionaria genetica, invece, nacque nell’indifferenza e il suo fondatore rischiò di finire dimenticato. Si chiamava Gregor Mendel ed era nato nel 1822 in un villaggio della Moravia (oggi nella Repubblica Ceca) da una famiglia tanto umile che lui si fece monaco purché la Chiesa gli pagasse gli studi all’Università di Vienna. “Studiando insieme agronomia, matematica e statistica diventò uno dei pochi al mondo in grado di comprendere le regole dell’apparentemente caotica trasmissione dei caratteri ereditari fra generazioni” racconta Telmo Pievani, docente di Filosofia di Padova e curatore della mostra Dna. Il grande libro della vita da Mendel alla genomica, che aprirà al Palazzo delle Esposizioni di Roma il 10 febbraio, per festeggiare i 150 anni delle leggi dell’ereditarietà. In sette sezioni, oggetti appartenuti a Mendel, la prima immagine ai raggi X del Dna o il vello della pecora clonata Dolly offrono un quadro completo della storia della genetica: da scienza che cerca di leggere il “libro della vita” a tecnica in grado di riscriverlo. Ma tutto, appunto, è iniziato con Mendel, “Dovendo lavorare al miglioramento di specie coltivate, scelse i piselli, i cui incroci sono facili da controllare, arrivando a capire che certi caratteri, come il colore dei semi si ripetevano in varianti diverse, in proporzioni sempre uguali. Incrociando piselli gialli e verdi, per esempio, non si ottenevano piselli gialloverdi, ma sempre o gialli o verdi: era la scoperta di ciò che lui definì “unità particellari” e noi chiamiamo geni. Comprese poi che ogni genitore conferisce alla prole una variante di ogni gene, e che alcune di queste sono dominanti: per esempio piselli verdi puri incrociati con gialli puri, davano sempre piselli gialli. Ma le varianti “deboli”, le recessive, non sparivano, restavano negli ibridi, ricomparendo in circa un quarto dei casi, quando si univano due geni recessivi”. Erano le leggi dell’ereditarietà, che Mendel pubblicò su una rivista di agronomia nel 1867. “Lo studio passò inosservato, ma lui ne aveva capito l’importanza, e ne spedì copia a quaranta scienziati in tutta Europa. Nessuno gli rispose. Mendel provò allora a dimostrare l’universalità delle sue leggi, sperimentando con altre piante, ma le specie scelte non erano facili da controllare come i piselli, e i risultati furono confusi.  Scoraggiato abbandonò la scienza, ma pare che prima di morire, nel 1884, abbia detto “Verrà un giorno in cui capiranno…”. Era decisamente in anticipo sui tempi.” Quando nell’anno 1900 tre scienziati riscoprirono le sue leggi, tutti e tre ammisero che il monaco era arrivato prima”. Ma oggi Mendel stenterebbe a riconoscere la sua scienza. Ormai siamo in grado di leggere il Dna e, da qualche anno, con la tecnica Crispr abbiamo anche uno strumento semplice ed economico per “riscriverlo”. Possiamo modificare gli esseri viventi, uomo compreso, e persino crearne di artificiali. E non è impossibile che nei prossimi anni la genetica ci metta di fronte a scelte eticamente delicate, come prolungare la vita o creare embrioni umani “migliorati”, in grado di cambiare le nostre società e l’idea stessa di uomo”
Alex Saragosa – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 3 Febbraio 2017 -

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