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sabato 11 febbraio 2017

Lo Sapevate Che: Quell'unica strada per combattere l'indifferenza...



Ho vent’anni, studio Commercio Estero a Venezia, e come tutte le sere scrivo. Ma sono settimane che sono ferma al primo paragrafo di un articolo su Aleppo. Ricordiamo l’Olocausto in un giorno di gennaio, per poi dimenticarcene nei restanti 364 giorni. Posiamo la forchetta sul piatto per quel servizio al telegiornale, quelle immagini aberranti, le fissiamo, sospiriamo, per poi riprendere a cenare. A cosa servono, davvero, le parole? Vedo una parte del globo, uomini che non possono più pensare né amare, né sperare, ma soltanto tremare, tremare incessantemente. Vedo l’altro lato, assuefatto alla sofferenza dell’altro, immobile. Ascolto la banalità superflua dei notiziari che finisce col trasformare tutti noi che parliamo e ascoltiamo in complici. Eppure non smetto di credere in quelle Nazioni Unite che, alla fine della Guerra fredda, hanno lavorato senza l’ostruzionismo della rivalità tra le grandi potenze, e che sono oggi teatro della nostra impotenza collettiva. Scrivo perché mi rende consapevole. E, a vent’anni, bisognerebbe aver fame di consapevolezza.   Ludovica Castelli  castelliludovica@gmail.com

Nel mondo c’è più atrocità che amore. Perché un maledetto “istinto di conservazione”, portato all’esasperazione ci fa dire: “Mors tua, vita mea”. Come se la propria vita potesse affermarsi alla sola condizione, se non di sopprimere, comunque di limitare la vita degli altri. Nonostante non manchi giorno in cui rivendichiamo la nostra differenza e superiorità rispetto agli animali, siamo esattamente come loro, anzi peggio di loro. Gli animali infatti uccidono per alimentari, gli uomini invece, come ci ricorda Hegel, uccidono per ottenere il riconoscimento della loro superiorità nei confronti del vinto. Non uccidiamo per fame, ma per potere, perché il potere potenzia la nostra identità e il nostro vissuto di superiorità.  Come osservava opportunamente Nietzsche, la storia umana è regolata dalla volontà di potenza che si esprime tanto in guerra quanto in pace, perché anche la pace, ce lo ricorda Heidegger, non è che un altro modo di proseguire la guerra, che a sua volta: “E’ una sottospecie della conquista della terra in vista del suo sfruttamento spinto fino alla sua usura che viene continuata nel tempo di pace Questa lunga guerra, nella sua lunghezza, non va lentamente verso una pace di tipo tradizionale, ma verso una situazione in cui i caratteri costitutivi della guerra non sono più esperiti come tali, e ciò che costituisce la pace ha perso ogni senso e ogni contenuto”. A questa situazione generale che dice quanto è arretrata la condizione umana rispetto ai suoi ideali di pace e di reciproco rispetto e riconoscimento –  propagati in Occidente dalla religione Cristiana e dalla cultura illuminata, che ha declinato inversione laica i valori di libertà, uguaglianza e fraternità a suo tempo annunciati dal cristianesimo delle origini – a questa situazione di spaventosa arretratezza, si aggiunge un’ulteriore impressionante arretratezza della nostra condizione psichico, dovuta al fatto che il “troppo grande” ci lascia “freddi”, perché il nostro sentimento di reazione si arresta alla soglia di una certa grandezza. Se muore infatti un congiunto a cui eravamo legati, soffriamo, se muore il nostro vicino di casa facciamo le condoglianze, se ci dicono che ogni otto secondi muore di fame un bambino nel mondo, questa finisce con l’essere solo una statistica che si stenta ad approfondire per non toccare con mano la nostra impotenza di fronte a una simile situazione. Lo stesso accade con la reazione emotiva che proviamo di fronte ai nostri morti di terrorismo, e a quelli delle terre di Siria e d’Iraq, troppo lontani e grandi per commuoverci e suscitare un minimo di partecipazione, Ma come scrive Gunther Anders: “L’inadeguatezza del nostro sentire non è un difetto fra i tanti, è la peggiore delle peggiori cose che sono già accadute. Perché è questo fallimento che rende possibile la ripetizione di queste terribilissime cose. Infatti se il nostro meccanismo dii inibizione si arresta non appena si sia superato una certa grandezza massima, allora, finché vige questa regola infernale, il mostruoso ha la via libera”. Capiamo adesso l’importanza dell’invito di Ludovica, di educare nei giovani la consapevolezza e il sentimento, affinché non siano indifferenti al proliferare delle armi, alla distruzione del sistema E tutto ciò affinché la loro insensibilità non aumenti e non si traduca in irresponsabilità collettiva, che consentirebbe alla distruttività umana di dilagare indisturbata, senza neppure più bisogno di appoggiarsi come un tempo a tramontane ideologiche.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 4 febbraio 2017 -

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