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domenica 5 febbraio 2017

Lo Sapevate Che: Trump e il mondo capovolto sove la sinistra tradì il popolo...



Guardando Le Immagini di Rigopiano, e del dramma dell’Abruzzo, così come prima di Amatrice, mi domandavo perché proprio quando l’Italia si sente popolo, unita nel dramma della morte, nella gioia di chi è salvo, nell’inquietudine della terra che continua a tremare senza che tu possa fare nulla, si parla invece di “popolazioni”. Le popolazioni colpite si dice. Quasi a prendere le distanze. Non è soltanto una leziosità linguistica, è la maniacale esigenza che abbiamo noi occidentali di classificare ogni cosa, giusto e sbagliato, vincitori e vinti, come se conoscere l’entomologia ti mettesse al riparo dalla puntura degli insetti. Che C’entra Questo con Trump e la globalizzazione? C’entra. È per questo stesso meccanismo interiore che il piccolo mondo di porcellana che abbiamo disegnato in copertina, frantumato da un colpo di martello, un martello che simboleggia la “T” di Trump, ci spaventa così tanto. Non perché sappiamo cosa succederà, ma perché non siamo in grado di classificarlo. Sappiamo che quei cocci disordinati-comunque vada – non torneranno più nella loro posizione originale. E ci rifiutiamo di guardare. Cerchiamo giustificazioni. Capri espiatori. A qualcosa che se ha un responsabile, quel responsabile è proprio l’occidente. La sua incrollabile sicumera. Così abbiamo provato a disegnare davvero il mondo nuovo, spostando stati e continenti dalla loro geografia naturale, seguendo la deriva che ha portato prima alla Brexit, poi al trionfo delle destre, fino alla vittoria del magnate americano, per provare a farli corrispondere alla nuova collocazione politica. L’effetto che si crea è straniante: ci troviamo materialmente di fronte a un pianeta che non abbiamo mai visto. Eppure è quello di prima. Se fai lo stesso gioco con le parole, provi cioè a riscrivere il dizionario dell’era post-Trump, ti rendi conto che le frasi che abbiamo pronunciato mille volte, pur restando le stesse, mutano di significato. Ma ciò che più colpisce, come racconta con penna cruda e provocatoria il filosofo francese Michel Onfray nel suo j’accuse contro la politica e le sue colpe, è che la parola che davvero ha cambiato natura, ambizioni, aspirazioni è quella su cui tutto ebbe inizio: democrazia, il “governo del popolo” che diventa il “governo nonostante il popolo”. Problema che destruttura innanzitutto la sinistra. È la stessa sensazione che proviamo anche in Europa. L’idea che ciò che abbiamo costruito nei decenni sia diventato fragile, instabile, sia destinato a mutare, a rivoltarsi contro i suoi ideatori. E invece che guardarlo bene in faccia, ci viene la naturale tentazione di rinviare quel momento, di scongiurarlo, di classificarlo come “estraneo” alla vita democratica. Ecco perché il momento è cruciale anche in Italia. Dove Ilvo Diamanti ci dice che otto cittadini su dieci vogliono l’uomo forte, ma dove al tempo stesso la prassi democratica ci allontana dal voto. All’apparenza un bene, soprattutto per chi come il Pd è in crisi profonda non tanto di voti quanto di anima, visione, futuro. Ma alla lunga diventerà un rischio enorme. Quello di sottovalutare ancora una volta ciò che succede là fuori, concentrati come siamo sulle virgole della sentenza della Consulta, sui dettagli di una legge elettorale che sarà scritta per i partiti e non per i cittadini, e che ci mostrerà di nuovo come troppo sesso nelle tecnicità in cui si articola la prassi democratica la parola popolo è diventata un estraneo. Al Contrario è in “nome del popolo” che ogni dispositivo al servizio della democrazia (la legge elettorale in primis) dovrebbe funzionare. La mediazione fa già di per sé perdere all’idea di “sovranità popolare”, di rappresentanza e rappresentatività, dei pezzi, ogni volta che la volontà retorica deve essere “attuata” attraverso le elezioni. Ma se stavolta non sapremo spiegare molto bene ciò che stiamo facendo, rischiamo che il popolo abbia di nuovo l’impressione che la sua voce venga filtrata, interpretata, tradita attraverso la procedura. Generando una reazione contraria. Quella che, a volte travisandone il senso, molti chiamano “populismo” e pretendono che muoia da solo. Come se un medico, fatta la diagnosi, stesse fermo a guardare il paziente. Citando i libroni della medicina.
Tommaso Cerno – www.lespresso.it @Tommasocerno – 29 gennaio 2017

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