Esausta Dopo Una giornata di lavoro, con la testa
dolente dopo ore alla ricerca dello slogan perfetto, Frances Mary Gerety si era
arresa. Nel suo appartamentino di Manhattan, il massimo che le permettesse lo
stipendio dell’agenzia pubblicitaria Ayers & Son che in quel 1947 assumeva
poche donne, Frances si preparò ad andare a letto, ben coperta perché il freddo
era forte e i termosifoni deboli. L’agenzia era stata ingaggiata dall’allora
monopolista mondiale dei diamanti, De Beers, per una campagna che convincesse
gli americani ancora freschi di guerra e di Grande Depressione a buttare soldi
in gioielli. Aveva affidato a lei, giovane di 28 anni, l’account. Ma spremiti
che ti spremi, Frances non era riuscita a produrre niente. Si rannicchiò sotto
le coperte, spense la luce, lasciò vagare la mente per prendere sonno, pensò
all’amore che non aveva ancora trovato e al sogno di incontrare, come nelle
favole, quello giusto per sempre…per sempre…per sempre… Frances balzò dal
letto, corse al suo tavolino di lavoro, incespicò nella camiciona da notte, si
sedette, prese foglio e matita per catturare quel pensiero e scrisse: “A diamond is forever”. Un diamante è per
sempre! Nel dormiveglia, aveva creato lo slogan che da settant’anni convince
miliardi di donne e uomini ad aspettarsi e ad offrire un amello con diamante
per testimoniare, e per concedere, il proprio amore “per sempre”. Non c’era nulla
che collegasse quella scheggia di carbonio ultra – compresso al matrimonio e
per millenni soltanto teste coronate, maharaja, sultani, cardinali, milionari
se l’erano potuta permettere. Ma la De Beers, che in quel 1947 controllava
l’intera produzione mondiale, voleva espandere “il consumo di diamanti” alle
masse e cavalcare lo tsunami di matrimoni che negli Usa, in Europa, in tutto il
mondo, la fine della guerra e l’alba di un’incipiente prosperità stavano
scatenando. Il diamante, grande o piccolo, perfetto o sporchetto, doveva
diventare un oggetto di consumo come le lavatrici, le calze di nylon, i
reggiseni da battaglia Maidenform, le tinture per capelli, i tostapane, il
frigo. E quella giovane donna con il mal di testa, nell’inverno del 1947, aveva
trovato la chiave per aprire la cassaforte: associare un minerale
all’immaginaria e sperata eternità dell’amor coniugale. Soltanto negli Stati
Uniti, il mercato dei diamanti da anello di fidanzamento supera oggi gli otto
miliardi di dollari all’anno e si calcola che il 75 per cento delle promesse
spose portino all’anulare un diamante. L’idea che sia obbligatorio si è
incastonata nella mente di uomini e donne che non potrebbero concepire una
proposta di matrimonio che non fosse suggellata da quella pietra. L’agenzia
suggerì anche il costo agli uomini, una somma del tutto artificiale: due mesi
di stipendio. Che cosa sono due miserabili mesate in cambio dell’amore
“forever”? Campagne pubblicitarie dirette e indirette, sviluppare attraverso
“testimonial” di celebrità, sequenze di pretendenti in ginocchio con l’astuccio
davanti alla loro bella con la mano sulla bocca per frenare la commozione,
addirittura un film di James Bond con il titolo I diamanti sono per sempre,
sarebbero sgorgati dallo slogan immaginario di Frances e destinato a essere
premiato, nel 999, come “Lo slogan pubblicitario del XX secolo”. L’anello che
portate in questo momento al dito non viene dunque dalle miniere dell’Africa,
della Russia, dell’Australia, dell’India e sperabilmente non dal commercio
illegale dei “diamanti di sangue”. Viene da Madison Avenue, la strada delle
agenzie pubblicitarie. Frances Gerety, la donna che inventò i diamanti, morì
all’età di 84 anni. Era nubile. Non aveva mai trovato nessuno che le offrisse
un anello di diamanti.
Vittorio Zucconi - Opinioni – La Donna di Repubblica – 28
gennaio 2017
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