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sabato 25 febbraio 2017

Lo Sapevate che: A cosa serve raccontare la mafia...



In Risposta a uno dei miei ultimi post su Facebook (avevo fatto gli auguri di compleanno a Fabiano Antoniani, il dj quarantenne vittima di un incidente stradale che, rimasto tetraplegico e cieco, si sta battendo perché in Italia il Parlamento si occupi di regolamentare il fine-vita) un utente mi scrive: “Sono anni che parli di mafie, ma oggi le cose stanno peggio di ieri. A cosa sono serviti i tuoi libri? Parla d’altro”. Viviamo facendo bilanci, dobbiamo essere però accorti a non sovrapporre la percezione che noi abbiamo della realtà alla realtà stessa. Se io dovessi fare un bilancio di questi ultimi dieci anni, dovrei senz’altro prescindere da come ho vissuto, dagli attacchi subiti. Nel 2006 esce “Gomorra e il processo al clan dei casalesi subisce un’accelerazione inattesa. Le minacce che il clan mi ha rivolto hanno dato impulso al processo e portato (per amissione dei magistrati che se ne occupavano) le condanne all’attenzione dell’opinione pubblica. Dal 2006 Vivo Scortato, quindi la mia valutazione di ciò che è accaduto è negativa. Eppure il processo Spartacus, iniziato nel 1998 e il cui primo grado si era concluso nel 200t, ha celebrato i due gradi successivi arrivando a conclusione nel 2010. Sette anni per il primo grado e cinque per i successivi due: dopo “Gomorra” la mia vita è cambiata in peggio, ma il più grande processo alla mafia continentale italiana ha trovato una accelerazione. Quindi percezione personale degli eventi e dimensione pubblica non coincidono. Lo stesso potrei dire sull’infiltrazione mafiosa al Nord: quando ne parlai in televisione, mi accusarono di diffamare il Nord e raccolsero firme contro di me. Dopo poco le sentenze mi diedero ragione (non poteva essere altrimenti, dato che il mio lavoro si basava sullo studio degli atti processuali). La Mia Valutazione personale di quei momenti è negativa: Roberto Maroni impose la sua presenza a “Vieni via con me” per amentire le mie parole; tempo prima, un noto settimana aveva diffuso la bufala secondo cui l’ex capo della mobile di Napoli, Vittorio Pisani, avrebbe dato parere sfavorevole alla mia scorta, bufala girata per anni e smentita dallo stesso Pisani in tribunale, dove ammise che non era mai stato suo compito valutarla. E dire che non sapendo di questa smentita, c’è ancora chi cita Pisani per delegittimarmi. Se è vero, però, che gli ultimi dieci anni sono stati per me complicati, posso dire che invece per l’antimafia, quella delle parole che si traducono in azioni – perché non esistono azioni senza parole – sono stati anni mirabili, anni di attenzione e processi giunti a termine, anni in cui l’opinione pubblica ha capito che le mafie ci sono anche quando non spargono sangue. Eppure, se l’utente di Facebook mi dice che il mio lavoro è stato inutile, ho necessità di capire dove sta il gap, lo scarto, la falla. E se l’utente di Facebook ripete quello che sente dire dai politici (che poi è quello che hanno sempre detto i mafiosi) allora la risposta è sotto gli occhi di tutti. Siamo tornati a quando parlare di mafia era considerata una perdita di tempo, quando si consigliava di parlare di altro. E il consiglio veniva da politica e mafia. Siamo tornati a quando i cronisti raccontavano nel dettaglio cosa accadeva e poi c’era chi raccontava le dinamiche criminali riducendole a mera imitazione. E se negli anni Ottanta una scazzottata tra ragazzi era mutuata da “Altrimenti ci arrabbiamo”, se negli anni Novanta si sparava come in “Pulp Fiction” tenendo la pistola di piatto, oggi si delinque guardando “Gomorra”. E si arriva al paradosso che se in “Gomorra” non c’è un precedente, quello che accade non è crimine, ma è casualità. A Casal Di Principe minorenni armati, nipoti di un boss deceduto, entrano in una scuola superiore. La ricostruzione sulla stampa locale è stata più o meno questa: minorenni imitavano i boss delle serie che raccontano solo il male (io ci ho letto “Gomorra”, ma magari ho la coda di paglia). La notte successiva a questa incursione la scuola si allaga e i ragazzi non sono ritenuti colpevoli. Mi sbaglierò, ma se in “Gomorra – la Serie” ci fosse stato n allagamento, avremmo letto questo titolo: “Casal di Principe: minorenni armati entrano a scuola e la allagano come in Gomorra”. Fino a che non sarà chiaro che con o senza la cresta di Genny Savastano i ragazzi sparano, allora l’utente di Facebook continuerà a chiedersi perché parlare di camorra: se si delinque per imitazione, basta smettere di raccontare.
Roberto Saviano – L’antitaliano www.lespresso.t – L’Espresso – 19 febbraio 2017

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