L’Ultimo Volto Nella
Galleria che non
avremmo mai voluto vedere è quello di Fatemeh Reshad, una bambina iraniana.
Ricordiamo la sua storia dietro due stupendi occhi neri e sproporzionati, come
spesso hanno i neonati, come aveva il promo dei miei nipoti quando li sgranò di
fronte alla luce che lo aveva investito dopo la calda oscurità del grembo
materno… Ha quattro mesi ed è nata con due “buchi nel cuore”, un difetto
congenito rarissimo che colpisce due neonati su 10mila e soltanto i migliori
cardiochirurghi pediatrici possono riparare. In Iran non ce ne sono e i medici
di Teheran che l’avevano esaminata avevano confessato di non essere in grado di
intervenire. Avevano indicato ai genitori un ospedale dell’Oregon, a 11 mila
chilometri di distanza in linea d’aria, dove i chirurghi del Doernbecher
Childrens Hospital trattano con successo casi simili a quello di Fatemech
almeno sei volte all’anno, con successo. In Oregon, fortuna nella sfortuna
vuole, vivono i nonni della bambina, emigrati da anni e divenuti cittadini
degli Stati Uniti. Presero contatto con l’ospedale pediatrico Doernbecher, e
l’équipe dei chirurghi, dopo aver studiato la cartella clinica, disse che non
soltanto avrebbero potuto sistemare il cuore di Fatemeh, ma, miracolo della
medicina, l’avrebbero operata e assistita gratuitamente. I Reshad si
scatenarono. Cominciarono la spola fra Teheran e Dubai per raggiungere il
consolato Usa, che in Iran non c’è. E, altro miracolo, in soli 30 giorni
ottennero un visto d’ingresso negli Stati Uniti per ragioni umanitarie. Quello
che non potevano sapere era che venerdì 27 gennaio un uomo chiamato Donald
Trump avrebbe firmato la condanna a morte della bambina, annullando tutti i
visti rilasciati a iraniani e a cittadini di altre sei nazioni. “Se non sarà
operata rapidamente, Fatemeh non ha molte speranze di crescere e di vivere a
lungo”, è stata la prognosi della dottoressa Laurie Armsby, che l’avrebbe
dovuto operare. Ma i miracoli non erano finiti. Prima due giudici federali – la
massima magistratura americana prima della Corte Suprema – e poi una Corte
d’Appello convocata d’urgenza hanno sospeso l’applicazione dell’ordine
presidenziale perché illegale e probabilmente incostituzionale. Nei primi
giorni di febbraio Fatemeh, infagottata e con l’immancabile cappellino di lana,
è partita per l’Oregon con la garanzia giudiziaria di essere ammessa per 90 giorni,
il tempo necessario per l’intervento e la riabilitazione. Il suo volto, i suoi
grandi occhi allegri non entreranno dunque, sperando che tutto vada bene, in
quella galleria di immagini di bambini divenuti involontariamente e
inconsapevolmente – loro davvero inconsapevolmente – l’album nero della demenza
umana. Da quando gli obiettivi dei fotografi, dei cameramen e di chiunque oggi
possiede uno smartphone sono entrati nel teatro dei Grand Guignol di guerre e
guerriglie, sono state le riprese dei bambini a scolpire il ricordo
dell’orrore. Il bambino ebreo con la coppola portato via dai nazisti a
Varsavia. La bambina nuda e ustionata dal napalm su una grande strada del
Vietnam. Gli scheletri profughi dal grande ventre gonfiato dalla denutrizione
nei campi del Sudan e dell’Etiopia. La palestinese uccisa tra le braccia del
padre. Gli scolaretti israeliani raggiunti dai razzi di Hamas o dilaniati dalle
bombe sugli autobus. I dannati di Aleppo infarinati dalla polvere. Il siriano
accoccolato sulla battigia di una spiaggia turca e ora Fatemeh, l’eccezione che
conferma la regola, sono soltanto poche pagine di questa collezione straziante.
Naturalmente fotografi, operatori, media, propagandisti, militanti di opposte
parti frugano nel ventre delle tragedie per trovare immagini di bambini che
vendano bene, che facciano colpo, che aiutino la propria causa, che strappino
il cuore. Ma ci sono. E se farli vedere, nell’immensità del loro dolore
innocente, può essere speculazione, anche nasconderli sarebbe speculazione
opposta del silenzio e della complicità. Io li guardo e lascio che quegli occhi
mi parlino. Forse perché, come nonno, penso che ogni bambino al mondo possa
essere uno dei miei nipotini.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di Repubblica – 18
febbraio 2017 -
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