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martedì 28 febbraio 2017

Lo Sapevate Che: Fatemeh, viva grazie a un visto...



L’Ultimo Volto Nella Galleria che non avremmo mai voluto vedere è quello di Fatemeh Reshad, una bambina iraniana. Ricordiamo la sua storia dietro due stupendi occhi neri e sproporzionati, come spesso hanno i neonati, come aveva il promo dei miei nipoti quando li sgranò di fronte alla luce che lo aveva investito dopo la calda oscurità del grembo materno… Ha quattro mesi ed è nata con due “buchi nel cuore”, un difetto congenito rarissimo che colpisce due neonati su 10mila e soltanto i migliori cardiochirurghi pediatrici possono riparare. In Iran non ce ne sono e i medici di Teheran che l’avevano esaminata avevano confessato di non essere in grado di intervenire. Avevano indicato ai genitori un ospedale dell’Oregon, a 11 mila chilometri di distanza in linea d’aria, dove i chirurghi del Doernbecher Childrens Hospital trattano con successo casi simili a quello di Fatemech almeno sei volte all’anno, con successo. In Oregon, fortuna nella sfortuna vuole, vivono i nonni della bambina, emigrati da anni e divenuti cittadini degli Stati Uniti. Presero contatto con l’ospedale pediatrico Doernbecher, e l’équipe dei chirurghi, dopo aver studiato la cartella clinica, disse che non soltanto avrebbero potuto sistemare il cuore di Fatemeh, ma, miracolo della medicina, l’avrebbero operata e assistita gratuitamente. I Reshad si scatenarono. Cominciarono la spola fra Teheran e Dubai per raggiungere il consolato Usa, che in Iran non c’è. E, altro miracolo, in soli 30 giorni ottennero un visto d’ingresso negli Stati Uniti per ragioni umanitarie. Quello che non potevano sapere era che venerdì 27 gennaio un uomo chiamato Donald Trump avrebbe firmato la condanna a morte della bambina, annullando tutti i visti rilasciati a iraniani e a cittadini di altre sei nazioni. “Se non sarà operata rapidamente, Fatemeh non ha molte speranze di crescere e di vivere a lungo”, è stata la prognosi della dottoressa Laurie Armsby, che l’avrebbe dovuto operare. Ma i miracoli non erano finiti. Prima due giudici federali – la massima magistratura americana prima della Corte Suprema – e poi una Corte d’Appello convocata d’urgenza hanno sospeso l’applicazione dell’ordine presidenziale perché illegale e probabilmente incostituzionale. Nei primi giorni di febbraio Fatemeh, infagottata e con l’immancabile cappellino di lana, è partita per l’Oregon con la garanzia giudiziaria di essere ammessa per 90 giorni, il tempo necessario per l’intervento e la riabilitazione. Il suo volto, i suoi grandi occhi allegri non entreranno dunque, sperando che tutto vada bene, in quella galleria di immagini di bambini divenuti involontariamente e inconsapevolmente – loro davvero inconsapevolmente – l’album nero della demenza umana. Da quando gli obiettivi dei fotografi, dei cameramen e di chiunque oggi possiede uno smartphone sono entrati nel teatro dei Grand Guignol di guerre e guerriglie, sono state le riprese dei bambini a scolpire il ricordo dell’orrore. Il bambino ebreo con la coppola portato via dai nazisti a Varsavia. La bambina nuda e ustionata dal napalm su una grande strada del Vietnam. Gli scheletri profughi dal grande ventre gonfiato dalla denutrizione nei campi del Sudan e dell’Etiopia. La palestinese uccisa tra le braccia del padre. Gli scolaretti israeliani raggiunti dai razzi di Hamas o dilaniati dalle bombe sugli autobus. I dannati di Aleppo infarinati dalla polvere. Il siriano accoccolato sulla battigia di una spiaggia turca e ora Fatemeh, l’eccezione che conferma la regola, sono soltanto poche pagine di questa collezione straziante. Naturalmente fotografi, operatori, media, propagandisti, militanti di opposte parti frugano nel ventre delle tragedie per trovare immagini di bambini che vendano bene, che facciano colpo, che aiutino la propria causa, che strappino il cuore. Ma ci sono. E se farli vedere, nell’immensità del loro dolore innocente, può essere speculazione, anche nasconderli sarebbe speculazione opposta del silenzio e della complicità. Io li guardo e lascio che quegli occhi mi parlino. Forse perché, come nonno, penso che ogni bambino al mondo possa essere uno dei miei nipotini.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di Repubblica – 18 febbraio 2017 -

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