A Cosa Serve ciò che non è Natura nell’uomo? Lungamente, talvolta, ci si pone la
medesima domanda. Poi un giorno la domanda cambia. A chi serve? E se tutta
questa illusoria attribuzione di senso cui l’uomo tende, cucendo significati
improbabili a quell’intervallo che separa la sua nascita dalla sua morte, altro
non fosse se non una subdola strategia della Natura per infondere l’illusione
che valga la pena reiterare quell’intervallo, e in definitiva contribuire alla
riproduzione, quindi al proseguimento della specie? Le porge questa questione
una giovane donna che non si decide a diventare madre. Laura
lalla.ca@virgilio.it
Non Si Stupisca e non si rammarichi. Le cose stanno
esattamente come dice lei. Noi, al pari di tutti i viventi, siamo funzionari
della specie. E siccome non ci rassegniamo, abbiamo inventato nientemeno che la
storia, per sentirci autori e soggetti delle azioni che compiamo. Gli uomini
pià delle donne le quali, vincolate com’erano fino a pochi anni fa a una
sessualità sostanzialmente riproduttiva, non hanno avuto tempo, a differenza
degli uomini privi di questo vincolo, di giocare come hanno fatto gli uomini,
prima alla caccia, poi alla guerra, appena più evoluti, hanno inventato i miti,
poi le religioni, in seguito le ideologie, da ultimo la scienza e la tecnica al
momento al servizio del mercato, dettando le leggi che decidono come deve
andare il mondo. Un mondo tutto inventato e contrapposto alla natura, ridotta a
materia prima da utilizzare, in vista della costruzione del mondo come da loro
concepito. “Il mondo come rappresentazione” direbbe Schopenhauer, per sfuggire
alla vera realtà costitutiva dal “mondo come volontà”. “Volontà di vita” che si
esprime ovunque trova le condizioni, senza ragione e senza perché, quindi
“volontà irrazionale”, a proposito della quale Schopenhauer scrive: “Il
soggetto del gran sogno della vita è in un certo senso uno soltanto, la volontà
di vivere”. E noi siamo in questo vortice capitati per caso, riforniti per un
certo tempo di sessualità per la procreazione e di aggressività per la difesa
della prole. Poi la specie, che per la sua economia ha bisogno del ricambio
degli individui, ci consegna alla morte, con l’indifferenza della Grande
Danzatrice che, come vuole l’immagine di Goethe, nella sua danza sfrenata perde
gli individui e lei aggrappati, senza consapevolezza, senza fedeltà e senza
memoria. Se questo è il senso dell’esistenza: “Meglio per te non esser nato”,
diceva il saggio Sileno a Re Mida che gli chiedeva quale fosse la cosa migliore
e più desiderabile per l’uomo: “E ora che hai voluto sapere quello che per te
sarebbe stato più vantaggioso non sentire, la cosa migliore per te è morire
presto”. (..). In questo modo l’illusione da inganno diventa rimedio, per cui
scrive Nietzsche: “Se illusioni e maschere ci consentono di vivere, liberiamo
tutte le illusioni, indossiamo tutte ke maschere”. Fu così che mentre
Schopenhauer, nel conflitto tra vita e verità, stava tragicamente dalla parte
della verità e perciò invitata alla rinuncia della vita, Nietzsche prende
posizione a favore della vita, capace di offrire il suo dono a chi, pur
riconoscendone l’inganno, gioiosamente l’accetta. Per questo ne La gaia scienza Nietzsche scrive: “No.
La vita non mi ha disilluso. Di anno in anno la trovo sempre più ricca, più
desiderabile e più misteriosa, da quel giorno in cui venne a me il grande
liberatore, il pensiero che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è
vòlto alla conoscenza, e non un dovere, non una fatalità, non una fede. La vita
come mezzo di conoscenza. Con questo principio nel cuore si può non solo
calorosamente, ma anche gioiosamente vivere e gioiosamente ridere”. A lei, cara
Laura, non posso consigliare se mettere al mondo o meno un figlio, ma partendo
dalle tragiche premesse schopenhaueriane della sua lettera, le ho descritto,
sulla traccia di Nietzsche che considerava Schopenhauer suo educatore, uno
sguardo non solo meno tragico, ma addirittura gioioso.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 2
settembre 2017 -
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