In Vista Dell’Ingresso di qualsiasi individuo in una
comunità, ho sempre pensato che, più che allo ius soli, ci si dovrebbe appellare allo ius mentis. Perché in una comunità sociale, dalla famiglia allo
Stato, non si entra per un barbarico o fantomatico ius sanguinis, né per il tanto oggi evocato ius soli. Affinché una qualsiasi comunità si costituisca, non è
sufficiente la biologia, né la geografia: bisogna che gli individui si
incontrino, si scambino sentimenti e idee, e di questo scambio facciano il
nutrimento vero della coappartenenza. Qualche tempo fa, Papa Francesco ha
specificato ancora meglio il diritto all’appartenenza a una stessa comunità, invocando
il principio dello ius culturae; meno
buoni appaiono coloro che potrebbero prendere la palla al balzo per risolvere
lo ius culturae nello ius culti. Così, a voler andare per la
strada del pontefice, ma dissipando ogni presuntuoso equivoco tra cultura e
culto, si potrebbe fare appello fare appello al termine inequivoco e originario
con cui i Greci indicavano la crescita e l’ingresso di un individuo nella
comunità: paideia. Ovvero, la
formazione del giovane nell’anima e nel corpo, con le letture e le conversazioni
per la prima e la ginnastica per il secondo. Ecco, da qui bisogna ripartire, a
cominciare dagli stessi giovani (e meno giovani!) cosiddetto italiani, per
legittimare la propria italianità.
Giuseppe Capello giuseppecapello69@bot.mail.com
Il Problema
Dell’Immigrazione e
dell’accoglienza può trovare più facilmente una soluzione se smantelliamo
alcuni stereotipi, come la nostra presunta “identità nazionale”, enfatizzata
dal fascismo che si rifaceva ai fasti dell’impero romano, dimenticando che non
c’è mai stato impero tanto composito come quello: la circolazione di persone,
che provenivano da ogni parte del mondo allora conosciuto, lo hanno reso un
esempio di multiculturalismo ante litteram.
Dopo il crollo dell’impero romano, l’Italia ha subito ininterrotte invasioni,
da parte di popol che la storiografia ha definito “barbari”. Con la nascita
degli Stati europei, non sono mancate le occupazioni di spagnoli, francesi,
austriaci o tedeschi: hanno a tal punto mescolato usi, costumi e credenze, che
parlare di “etnie” o “identità nazionali” è così arcaico, se non addirittura
artificialmente ideato per respingere chi non vogliamo accogliere per motivi
inconfessabili, come il timore che il suo sopraggiungere ci impoverisca. A
questo punto, è inutile ribadire la nostra presunta “identità” che lo
straniero, con la semplice sua presenza, concorre a rafforzare; perché questa
identità da cosa è data? Dai valori di libertà, uguaglianza, fraternità proclamati
dalla rivoluzione francese, ma già anticipati dal cristianesimo alle origini,
quando affermava che non dovevano più esserci padroni né schiavi, che eravamo
tutti figli di Dio e che dovevamo aiutarci reciprocamente, in base al
comandamento dell’amore verso il prossimo? Questi valori non sono minacciati
dallo straniero, perché è da tempo che vi abbiamo rinunciato, riducendo la
libertà e l’uguaglianza a diritti formali, ma non sostanziali. Mentre la
fraternità l’abbiamo affidata al buon cuore, quando non a losche speculazioni.
(..). La soluzione che lei, caro lettore, indica è quella che ci hanno
insegnato gli antichi Greci. Come ci ricorda Isocrate: “Atene ha fatto sì che
il nome di elleni designi non più una stirpe (ghénos), ma un modo di pensare (diànoia).
Per cui siano chiamati elleni non quelli che hanno in comune con noi il sangue,
ma quelli che hanno in comune con noi una paideia”. Paideia è la capacità di
apprendere, che non si eredita con il sangue, ma si impara crescendo insieme.
Ora, se i bambini nati in Italia sono cresciuti insieme con i bambini italiani,
hanno frequentato le stesse scuole, acquisito gli stessi insegnamenti,
rispondono perfettamente al principio greco della paideia, e perciò vanno
riconosciuti come italiani. Altrimenti barbari diventiamo noi, che
discriminiamo non in base alla cultura, ma al colore della pelle.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 23
settembre 2017 -
Nessun commento:
Posta un commento