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martedì 26 settembre 2017

Lo Sapevate Che: Due cuori (con tre figli) e due capanne...



L’Economista Marxista Barese, e io stiamo insieme da 23 anni, abbiamo tre figli, una casa con il mutuo e un’automobile, ma non abbiamo mai vissuto insieme, sotto lo stesso tetto, come fa di solito la maggior parte delle coppie Io sto a Milano, da sempre: lui dopo avere lasciato la Puglia per studiare, ha girovagato un po', senza nemmeno avvicinarsi per sbaglio alla Lombardia, per poi scoprire che il luogo più adatto allo studio della formula della rivoluzione proletaria è Londra. Il giorno del nostro matrimonio la mia amica Erika lesse la storia di Elide e Arturo. Erano anche loro sposi, anche loro innamorati, anche loro lontani. Facevano gli operai, lui aveva il turno di notte e lei quello di giorno. Si incontravano per poco, la mattina presto, quando uno si alzava e l’altro si svegliava. Si ritrovavano la sera, lei stanca lui con la testa già in fabbrica. Il loro era uno sfiorarsi lieve, un costante languore, la ricerca dell’altro nel tepore e nella forma di un materasso vuoto. Mentre la mia amica leggeva le parole di Italo Calvino che, nell’Avventura di due sposi, dava una magistrale interpretazione delle difficoltà degli amori, io un po' ridevo e un po' piangevo perché allora ci era già chiaro che il destino di Elide e Arturo, condannati allo struggimento dell’assenza, sarebbe stato anche il nostro. Ci siamo accomodati, anno dopo anno, in una consuetudine di partenze e ritorni, di solitudine e felicità, di indipendenza, di autonomia, di vuoti e pieni, di fiducia reciproca, di racconti prima per telefono (“Mia madre ha detto che non che non possiamo più sentirci: l’ultima bolletta era di 600mila lire”) e per lettera (“Mamma, cosa vuol dire francobollo?” mi ha domandato mio figlio la scorsa settimana), poi per posta elettronica, sms. Skype e WhatsApp. Ci siamo inseguiti in treno, in macchina e in aereo. Ci siamo domandati se tutto questo rincorrersi avesse un senso e un approdo. Ci siamo aspettati e, nell’attesa, ci siamo immaginati, a volte come volevamo noi. Non ci siamo mai persi, ma riconoscerci richiede sempre una buona dose di impegnarci e di tempo. Oggi siamo rodati. Lasciarci è una fitta che passa in fretta. Ritrovarci è una festa che ci godiamo in cinque e, spesso invano, cerchiamo di ritagliarci in due. La lontananza ci risparmia l’usura, la noia, l’abitudine, l’assuefazione. Ci mette al riparo dalle miserie della prossimità, dall’alienazione dell’intimità. Certo, talvolta lo scarso tempo insieme si fa frenesia e si riduce a comunicazioni urgenti e asettiche, militaresca divisione dei compiti, secchi ordini, freddi su tomatismi. Ma forse questa è una piaga comune alle famiglie numerose. Oggi abbiamo capito che le coppie normali non esistono che ognuno ha la propria ricetta. La nostra è un po' bislacca ma è quella giusta per noi. Tuttavia l’estate le nostre strade si uniscono e ci scopriamo come gli altri, come quelli che si dicono buonanotte la sera e buongiorno la mattina, che allungano una mano e si trovano, che si vogliono bene da vicino. E ogni volta, quando la prossimità finisce e la nostra normalità ricomincia, mi prende la rabbia, l’inquietudine e lo sconforto. E vorrei essere consumata dalla noia della prossimità. “Elide andava a letto, spegneva la luce. Dalla propria parte, coricata, strisciava un piede verso il posto di suo marito, per cercare il calore di lui, ma ogni volta s’accorgeva che dove dormiva lei era più caldo, segno che anche Arturo aveva dormito lì, e ne provava una grande tenerezza”. Allora mi dico che quella tenerezza è il nostro segreto, il nostro scudo spaziale, la nostra inestimabile ricchezza. E, come Elide, mi addormento.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 23 settembre 2017 -

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