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venerdì 15 settembre 2017

Lo Sapevate Che: Dal genio di Ronconi alla scena muta...



Luca Ronconi è uno di quegli artisti che ha accompagnato la vita di una generazione. Si aspettava un suo nuovo spettacolo con la stessa impazienza con la quale si attendeva un latro album di Paolo Conte, un libro di Italo Calvino, un progetto di Renzo Piano o un film di Roman Polanski e, detto ai lettori più giovani, con un’altra felicità rispetto al conto alla rovescia per la terza serie di Narcos o la sesta di House of Cards, che pure non sono niente male. Ronconi manca a chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, di apprezzarne la scintillante ironia e di assistere, autentico privilegio, a indimenticabili prove teatrali dove lui cavava a getto continuo dai testi significati inattesi come i prestigiatori estraggono conigli da un cilindro. Ma soprattutto manca al teatro e alla cultura italiani. Non ci sarà un altro come lui. Non può esserci, neppure se vi fosse. Nel senso che un Ronconi di trent’anni oggi dovrebbe andare a lavorare all’estero, in Francia, Belgio o Germania, insomma dove si può fare teatro sul serio. Nel nostro paese, d’immensa tradizione teatrale, lo spettacolo non è più un mestiere riconosciuto, ma un passatempo per ricchi o aspiranti poverissimi. Come gli insegnanti, gli uomini e le donne di spettacolo possono dedicare al proprio lavoro soltanto gli scampoli rubati alla vera attività che consiste nel trovare fondi, compilare carte bollate, curare i rapporti con i politici nazionali o locali e tirare così a campare. L’Italia è al penultimo posto in Europa per investimenti in istruzione e all’ultimo in cultura, con una certa coerenza. Quanto meno sono istruiti i cittadini, tanto meno soffriranno per l’estinzione del cinema e teatro nazionali. In trent’anni i fondi pubblici per lo spettacolo (Fus) si sono ridotti di tre quarti, con soddisfazione dei media che ne hanno spesso denunciato l’uso clientelare. Non sempre a torto, con una enfasi eccessiva. In fondo si tratta di piccole cifre, in un paese che ha buttato decine di miliardi in grandi opere inutili e/o incompiute. Quello che è sparito con le generazioni non è il talento, ma il rispetto per il proprio lavoro. Ronconi pensava che il teatro fosse un gioco da prendere sul serio, necessario alla società. Oggi perfino chi ci lavora è rassegnato a vederlo come qualcosa di superfluo, un vizio privato per perdere soldi, una forma raffinata di ludopatia. Quando al contrario è una medicina per curare una delle malattie sociali più diffuse e pericolose, la solitudine. Un Ronconi di oggi andrebbe a lavorare all’estero, ma quello di ieri non l’avrebbe fatto in silenzio, avrebbe protestato, sarebbe salito sulle barricate. Non è una differenza da poco.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di La Repubblica – 8 settembre 2017 -

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