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venerdì 8 settembre 2017

Lo Sapevate Che: Amiamo i nostri animali più di noi stessi...



Fu una scatola di plastica Tupperware, piena di baby topolini che squittivano disperatamente in un supermarket “Tutto per gli animali, a far sorgere in Jessica Pierce il dubbio. Quando chiese al cliente che comperava topini a che cosa gli servissero e si sentì rispondere che erano il cibo per il serpente che gli teneva compagnia in casa, Jessica, dottoressa in bioetica, si domandò: perché quel rettile deve avere il diritto di mangiarsi i topi? Chi aveva stabilito che esistesse una gerarchia alimentare fra quei piccoli, innocui roditori e la biscia?  La risposta era ovvia: l’aveva decisa un essere umano, giudice e arbitro supremo di vita e di morte tra le diverse specie in cattività. Da quella risposta, come da tutte le risposte, sgorgano una serie di domande che andarono a formare una nuova disciplina accademica, chiamata antrozoologia, dedicata allo studio delle relazioni fra l’uomo e gli animali. E che ora sta toccando un terreno emozionalmente radioattivo: il rapporto fra noi e i nostri “amici” domestici. Gatti, cani, rettili, uccelli, pesci e qualsiasi altra forma di vita animale con la quale decidiamo di convivere. La scelta d “comprare” un cane, di “adottarlo”, di “custodirlo” come si dovrebbe ormai dire secondo leggi che sempre più garantiscono ai nostri compagni trattamenti non soltanto umani, ma da umani, è una decisione seria. In 32 dei 50 Stati americani, le violenze contro gli animali domestici sono equiparate a quelle contro un membro della famiglia e punibili di conseguenza. Dopo l’uragano Katrina, quello che sventrò New Orleans, mio figlio Guido, che all’epoca lavorava come assistente legislativo di un potente deputato, lo convinse a far approvare una legge che impone ai soccorritori di salvare anche gli animali domestici. Questa umanizzazione di cani, gatti, creature varie è un fenomeno moderno, esploso non soltanto con la letteratura, il cinema, i fumetti, ma con l’urbanizzazione. Poco più di un secolo fa, il Comune di New York non ci pensò due volte a rastrellare 760 cani randagi, chiuderli in un gabbione ferrato e annegarli nell’Hudson, Ci provasse adesso, il sindaco Bill de Blasio sarebbe lui chiuso in gabbia e buttato nel fiume. Ma la “antropomorfizzazione” del simpatico Fluffy o del caro Buddy ha creato un problema profondo: se anche gli animali sono gente, alla quale parliamo, che ascoltiamo, che il 20% di noi ama più del proprio compagno e il 9% addirittura più dei figli, non possiamo poi tornare a trattarli da proprietà personale soggetta alla nostra volontà. Sono un milione e mezzo i cani che ogni anno devono essere messi a “dormire” perché abbandonati in rifugi senza speranza. È un dilemma che disturba i sonni di un “”industria dell’animale da compagnia” da 66 miliardi di dollari all’anno e scuote la sicurezza di un rapporto di dipendenza, spesso reciproca, fra uomini e animali. Ma quei 150 milioni fra cani e gatti soltanto in Usa (ed escludiamo dal conto canarini, pappagallini, pesci da acquario, tartarughe e varie) non possono essere liberati senza straziare il cuore dei loro “custodi” e senza mettere a rischio la loro vita e quella di altre creature. Dubito, per esperienza di famiglia, che i dilemmi posti dalla nuova disciplina dell’antrozoologia dissuaderanno bambini dal volere un cane, quelli del “mamma ce ne occupiamo noi”, persone sole, anziani, malati dalla consolazione di un cucciolo ansimante al proprio fianco con la lingua penzoloni. Ma la questione è aperta: dove sta scritto che un serpente abbia diritto di mangiare un topo che non può difendersi perché comprato in un supermercato? E noi umani siamo moralmente superiori al serpente al qual verrà servito un altro animale comprato come cibo?
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 2 settembre 2017 -

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